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I MIGLIORI PESI SUPERGALLO ITALIANI

 

Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi

La collaborazione tra sportenote e lo storico Pietro Anselmi sul tema delle classificazioni è giunta alla settima puntata. Pure in questa circostanza la scrupolosa investigazione condotta da Pietro Anselmi, per considerare minutamente la carriera degli ex pugili professionisti italiani. ha toccato la categoria dei pesi welter. Anche per detta divisione di peso ha individuato i primi dieci da catalogare e, grazie finanche alla sua abilità narrativa, la citazione dei nomi inclusi nella lista diventa materia di conoscenza e motivo di analisi.
Questa volta tocca alla divisione dei superpiuma, che rappresenta la dodicesima "sfornata".
Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.

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E’ l’ultima categoria partorita dalla deleteria fantasia di qualche burocrate in fregola di regali verso organizzatori amici che ambivano ad un maggior numero di titoli da amministrare. Va da sé che questa è la più inutile di tutte essendo minimo il divario tra i pesi gallo ed i piuma, quindi un supergallo può benissimo e facilmente rientrare nell’una o nell’altra. Nel 1976 la WBC faceva disputare il primo campionato mondiale. Alcuni anni dopo l’Italia con Loris Stecca nel 1984 (WBA) e Valerio Nati nel 1989 (WBO) riusciva a conquistare due corone. L’EBU, che aveva tergiversato  una ventina d’anni prima di allinearsi alle altre sigle mondiali, solo nel 1995 faceva disputare il titolo europeo della nuova categoria. L’Italia, con il solito colpo di bravura mista a fortuna riusciva a mettere Vincenzo Belcastro nella condizione di diventare il primo detentore del titolo. Ci sono voluti 23 anni prima di ritrovare un altro italiano in cima ai valori europei con Luca Rigoldi tutt’ora in attività. Per queste ragioni saranno pochi i campioni da classificare.

Al primo posto pongo Loris Stecca. Questi avrebbe potuto benissimo essere classificato tra i pesi piuma ma l’opportunità di conquistare un titolo mondiale, che non capita tutti i giorni, lo ha dirottato verso quella che sarebbe diventata la sua nuova categoria. Pugile spettacolare e molto determinato, fin dai primi combattimenti fu capace di imprimere ritmi forsennati alla sua boxe e ben presto i risultati lo portarono verso livelli assoluti, prima tra i dilettanti e poi tra i professionisti. Era un mancino naturale impostato in guardia normale e durante il servizio militare entrava nella compagnia atleti alla SMEF e  quindi il passo verso la Nazionale ne fu la diretta conseguenza. A Fano nel 1979 conquistava il titolo italiano pesi piuma battendo in finale un ottimo Ferracuti. I molti successi in maglia azzurra non gli fecero ottenere la partecipazione alla Olimpiadi di Mosca, alla quale teneva molto e, deluso, decise il passaggio al professionismo nel 1980. Al suo quindicesimo combattimento, sul ring di casa a Rimini, battendo Marco Gallo si laurea campione d’Italia dei pesi piuma. Era un brillante peso piuma e dopo aver difeso il titolo battendo Pasquale Mazza e Salvatore Melluzzo, conquista il titolo europeo della categoria. Vittima di turno l’inglese Robbie Sims, distrutto in sette brillanti riprese. La prima difesa del nuovo titolo sarà un derby con il conterraneo Valerio Nati, con il quale a Camaiore disputerà un match scpoppiettante ed equilibrato, vinto di misura. Con molta abilità il suo manager lo porterà verso un match per il titolo mondiale dei supergallo,versione WBA detenuto dal forte pugile dominicano Leo Cruz, forte, esperto e smaliziato contro il quale al Palasport di Milano Loris disputerà il suo miglior combattimento. Con una prestazione superba, fiaccando ripresa dopo ripresa la resistenza dell’avversario, lo costringe alla resa al dodicesimo round. Il quel momento diventerà il più giovane campione del mondo italiano. Purtroppo in caso di vittoria l’accordo con il promoter portoricano Cordero era di mettere in gioco la cintura nell’isola caraibica e Stecca è costretto ad affrontare un temibile fighter indigeno Victor Callejas. Stecca trova a Guaynabo un clima ed una realtà ostile. Il match è caratterizzato dalla potenza dell’avversario tanto da finire, per la prima volta in carriera, fuori combattimento all’ottava ripresa. La grinta e l’orgoglio di Loris chiamano ad una rivincita che giungerà nel Novembre del 1985 a Rimini. Davanti al suo pubblico Stecca inizia bene un match di rara intensità poi le mazzate di Callejas lo sovrastano e cede alla settima ripresa. Naturalmente Loris non si dà per vinto e ricomincia daccapo. Tra il 1986 ed il 1988 mette assieme diciassette incontri senza sconfitte e proprio mentre si sta concretizzando un’altra opportunità iridata un banale incidente nel 1988 lo costringe a scendere definitivamente dal ring dopo 59 combattimenti con solo due sconfitte

Il secondo gradino lo assegno a Vincenzo Belcastro. Una carriera lunghissima pone Vincenzo Belcastro tra i più longevi della categoria. Un ventennio di pugni non hanno lasciato segni deleteri nel fisico e nella testa del calabro-pavese, frutto di un pugilato personale, basato su una difesa ferrea e una preparazione fisica coscienziosa. Allievo del maestro Lucinio Sconfietti, il santone della boxe pavese, da dilettante non raggiunse traguardi ragguardevoli, salvo alcuni titoli regionali. La breve distanza non gli permetteva di far valer le sue doti di fondo, ma intanto acquisiva l’esperienza necessaria per passare al professionismo. Dopo undici combattimenti era già campione italiano dei pesi gallo. Al Palazzo dello Sport di Cefalù a sorpresa aveva ragione del detentore Maurizio Lupino  che era favorito dal pronostico. La sconfitta veniva contestata dal clan del campione spodestato e la rivincita due mesi dopo non risolveva la questione di superiorità. Un altro verdetto avvelenato dalle polemiche gli permetteva di mantenere il titolo. Era destino che in questa prima parte della carriera di Belcastro, i suoi combattimenti validi per il titolo italiano finissero polemicamente. A Villaricca nel febbraio del 1987 pareggiava con Alessandro De Santis, che a sua volta contestava un verdetto con il quale due giudici su tre avevano dato in parità. Fatalmente, ancora un giudizio contestato gli faceva perdere il titolo a favore del compagno di scuderia Antoio Picardi. Questi era al suo terzo tentativo, combatteva sul ring casalingo di Napoli e aveva avuto i favori dei giudici mentre il pubblico era diviso sull’equità del verdetto. Invece della doverosa rivincita, arrivava per lui un combattimento valido per il titolo europeo dei pesi gallo. Fino a quel momento Belcastro non aveva convinto del tutto. In possesso di buona tecnica, la sua boxe sfuggente tesa in primo luogo a non subire colpi, non gli permetteva di imprimere potenza al suo pugno. A Busalla, alle porte di Genova, con il Palazzetto dello Sport gremito, alla presenza di molti tifosi giunti da Pavia, Vincenzo compiva il miracolo della vita. Lo spocchioso francese Fabrice Benichou, che aveva in programma, oltre a questa difesa volontaria, una difesa ufficiale e quindi un confronto per il titolo mondiale già stabilito, non aveva fatto i conti con la solidità del nostro che non si lasciava condizionare dalla tattica del Rodomonte francese. Con calma respingeva tutti gli attacchi di Benichou e al terzo round lo centrava alla mascella con un diretto destro che lo lasciava stecchito sul ring. Non aveva mai vinto prima per KO. Questa vittoria mutava radicalmente le sue convinzioni sul quadrato ma non lo cambiava umanamente. Sempre con i piedi per terra non si deprimeva nelle avversità come non si esaltava nei momenti più gioiosi. Faceva il muratore, poi il venditore ambulante e conseguiva il diploma di geometra frequentando le scuole serali. Questi era l’uomo, mentre come atleta si cimentava anche nella maratona podistica. Da questo momento tutta la sua carriera si svolgerà ad alto livello, impensabile agli inizi dell’attività. Difende cinque volte la corona europea a cominciare dallo spagnolo Lorenzo Martrinez Pacheco, superato facilmente a Campione d’Italia. Più duro il match con l’inglese Billy Hardy sul ring del suo paese d’origine, Fuscaldo in Calabria. In svantaggio al nono round Vincenzo riusciva a rimontare grazie ad un grande sforzo e alle sue proverbiali doti di fondo. Tra questi due combattimenti provava l’assalto al mondiale supergallo nelle mani di José Sanabria. A Capo d’Orlando in Sicilia il tentativo falliva di un soffio. La risicata vittoria su Billy Hardy sollecitava un nuovo confronto e questo avvenne a Pavia il 28 giugno 1989. Il pareggio con cui salvava la corona non rispecchia fedelmente l’andamento del confronto, condotto con estrema intelligenza dal pugile di Pavia. La sua fredda boxe di rimessa aveva annullato la testarda azione d’attacco del ”pel di carota inglese” che si è visto gratificare da un verdetto di parità emesso a maggioranza. Per la cronaca, l’arbitro aveva quattro punti di vantaggio per il nostro campione. Quattro mesi più tardi a Battipaglia otteneva una facile vittoria sull’italiano d’America Luigi Camputaro mentre a Lamezia Terme un Belcastro insolitamente teso e lento nel carburare, faticava a respingere un avversario difficile da inquadrare come l’inglese Ronnie Carroll. La possibilità di disputare il titolo mondiale IBF dei supermosca contro il texano Robert Quiroga gli impediva di difendere ulteriormente l’europeo che a tavolino gli veniva tolto. A Capo d’Orlando il match con l’americano finiva al limite delle dodici riprese dopo una veemente battaglia difficilmente riscontrabile sui quadrati nostrani. Vincenzo conduceva un match tutto d’attacco ma due giudici di parte su tre gli negavano la soddisfazione di una meritata vittoria. Dal furto mondiale al mancato ritorno europeo. A Calais, in Francia, in un ambiente surriscaldato,Vincenzo non trovava le giuste contromisure e Thierry Jacob, pugile difficile e superprotetto sul ring di casa, lo respingeva chiaramente. Era il 28 aprile del 1991 e la sconfitta lo relegava su un piano minore. Doveva trascorrere più di un anno prima che ottenesse una nuova occasione continentale. Il titolo era passato da Thierry Jacob a Johnny Bredhal, un danese che subito lo abbandonava. Gli italiani Belcastro e Picardi furono prescelti a contenderselo. La competizione tra i due pugili era alla terza edizione e ad Orzinuovi, nel bresciano, la loro questione non veniva risolta malgrado la vittoria di misura di Vincenzo che riconquistava la corona europea dei pesi gallo.  Una difesa volontaria a Napoli contro l’italo-belga John Miceli lo proiettava verso un nuovo confronto con Antonio Picardi. Nella splendida piazza Ducale di Urbino il campione dominava chiaramente lo sfidante napoletano, nonostante una ferita al sopracciglio destro. Questa seconda parte della su lunga carriera veniva nobilitata dalla stupenda  prestazione di Glasgow, contro Drew Docherty, dove alla Kevin Halle, nel giorno del suo trentatreesimo compleanno, si esaltava in un combattimento condotto tutto all’attacco quasi fosse stato lui lo sfidante. Respinto lo scozzese , se ne ritornava in Italia e in questo periodo conseguiva il diploma di geometra. Ecco l’uomo che non si osannava nel trionfo ma si curava del suo futuro. A 33 anni non si può pensare che le cose vadano sempre bene. Da un momento all’altro poteva avvenire il crollo. A Sheffield il ventenne “funambolo” Naseem Hamed, soprannominato il “Principe Yemenita“ per le sue origini, per la prima volta gli faceva assaggiare l’acre odore del tappeto. Hamed, lo spaccone, un clown al quale tutto veniva concesso, tra smorfie e spinte poco regolamentari, riusciva a piazzare anche colpi devastanti. Aveva vinto sempre prima del limite in precedenza ma contro Belcastro dovette accontentarsi di una vittoria ai punti. Chi immaginava che la perdita del titolo europeo segnasse la fine di una gloriosa carriera si sbagliava di grosso. A Cagliari, sette mesi dopo, con grande sforzo calava di peso e nella categoria dei supermosca sfiorava l’impresa di carpire il titolo mondiale versione IBF al colombiano Harold Grey. L’insuccesso, dovuto più che altro alla fatica di fare il peso, lo consigliava ad un doppio salto di categoria. Passava nei supergallo, divisione di nuova istituzione in Europa, al limite di 55,383 kg. e Vincenzo Belcastro si conquista l’onore di esserne il primo campione. Ad Alassio il 5 aprile del 1995 di fatto apriva la terza fase della sua carriera. Tra mille problemi organizzativi il match aspro e combattuto contro l’ucraino Sergei Devakov finiva con una chiara vittoria del pavese. Instancabile, tre mesi dopo tornava in Liguria e sul ring del Teatro Opera del Casinò di Sanremo, disputava un match farraginoso con lo scorretto franco-belga-algerino Bagdad Touama, facendosi invischiare dalla boxe spigolosa dell’avversario. Pure a San Benedetto del Tronto, nonostante le ferite, il vecchio guerriero piegava nettamente il temibile britannico Ritchie Wenton in un combattimento drammatico, condizionato dai tagli causati dalle testate dell’uomo di Liverpool. Si salvava ancora una volta a Decimomannu contro Serge Poiblan. Avversario ostico, il francese lo impegnava duramente, ma Vincenzo con un ultimo round da cuore in gola riusciva a strappare un pareggio che gli permetteva di salvare la corona. Nella sua città di residenza, Pavia, doveva terminare la lunga corsa ad alto livello. L’organizzazione locale aveva fatto di tutto per fargli disputare il match tra le amiche mura. Per l’occasione si era aperto al pugilato il prestigioso Castello Sforzesco nella cui Piazza d’Armi lo scontro con Salim Medjkoune si trasformava subito in una cruenta battaglia. Lo scorretto francese, mai richiamato dall’arbitro inglese, a testate apriva profonde ferite al nostro, il quale all’ottavo round veniva fermato dal medico, tra le rimostranze del pubblico, specialmente rivolte all’ineffabile arbitro Thomas, asserragliato negli spogliatoi per più di un’ora. Perso il titolo Vincenzo Belcastro per le regole allora in vigore della FPI, avendo oltrepassato i limiti d’età, non avrebbe potuto risalire sul ring. Ma non era il momento di smettere per il guerriero calabro–pavese. Presa la licenza lussemburghese, un anno dopo pareggiava a Tolone con Frederic Bonifai. L’imbattuto inglese Spencer Oliver, nel frattempo divenuto campione d’Europa dei supergallo, aveva in programma una difesa del titolo con Fabrice Benichou, avversario di antica memoria del nostro Vincenzo, quando a venti giorni dal match il francese dava forfait. Gli organizzatori correvano ai ripari contattando l’ex campione che naturalmente accettava. Malgrado la notevole differenza d’età, quattordici anni, il nostro impartiva una lezione di pugilato a Spencer Oliver all’Alexandra Palace di  Londra. Belcastro lasciava al rivale le prime quattro riprese e grazie ad una condizione fisica ragguardevole ha cominciato a colmare lo svantaggio con una boxe efficace, essenziale, frutto di una perfetta preparazione e notevole mestiere. La sua vittoria, sancita anche da un giudice, veniva letteralmente capovolta a favore del giovane detentore. Finisce con questa grande delusione la carriera di Vincenzo Belcastro anche se disputerà ancora tre combattimenti fino a sfiorare le quaranta primavere sul ring e sedici di professionismo. Un curriculum di tutto rispetto il suo, con quattro combattimenti per il titolo italiano, diciotto per un titolo europeo e tre per il mondiale. Dopo l’agonismo assumeva le redini della sua società d’origine l’Accademia Pugilistica Pavese, prima come presidente quindi come insegnante. Chiusa questa nuova esperienza, apre a Pavia una palestra tutta sua denominata Pugni e Pupe,  che in breve volgere di tempo riuscirà ad inserire tra le società lombarde più attive.

La terza postazione la dedico a Valerio Nati. Se per dodici stagioni tra gli anni ottanta e novanta in Italia c’è stato un pugile che ha rappresentato grinta, dedizione e sacrificio applicati al pugilato, questi è sicuramente Valerio Nati. Nato e cresciuto nella palestra dell’Edera Forlì sotto la cura del maestro Rino Rossi, da junior deve interrompere più volte la carriera per via di vari incidenti e traumi che lo portano a svolgere una carriera dilettantistica limitata, pur arrivando alla maglia azzurra. Entra nel professionismo nel 1978 amministrato dal concittadino manager Giorgio Bonetti che dopo dieci  match vinti lo pilota al titolo italiano dei gallo vinto contro Giuseppe Fossati nel 1979. La carriera del ruggente guerriero forlivese cresce di tono nel 1980 quando si impone a livello internazionale conquistando il titolo europeo dei gallo contro lo spagnolo Juan Francisco Rodriguez sul ring di Forlì. In questo frangente è l’unico italiano a possedere una cintura continentale e viene eletto “pugile dell’anno”. Tra il 1981 ed il 1982 la carriera di Nati si evolve con una serie di difese e vittorie importanti (Feeney, Souris, De La Sagra, Eguia) ma esplode anche il problema del peso. Nati ha grande difficoltà a raggiungere i 53,525 kg e quando si presenta davanti a Fossati nel 1982 è fortemente indebolito e cede il titolo al suo rivale polverizzando una opportunità mondiale che si stava realizzando. Anche nella rivincita con Fossati sul ring di Bologna le cose non migliorano di tanto e Nati torna a casa con un pari. Ora c’è una carriera da ricostruire e “la Tigre di Forlì” risorge nei piuma con un grintoso duello contro il conterraneo Loris Stecca per il titolo d’Europa. Perde ma con un margine limitato e questo confronto lo rilancia tanto è vero che si guadagna un’altra chance per il titolo Continentale pur perdendo a Belfast per mano dell’asso Barry McGuigan. Nel 1984 il manager Bonetti si ritira e Nati cambia procuratore. Tra il 1985 ed il 1986 infila una serie di dieci vittorie consecutive e nel 1987 conquista il titolo d’Europa dei piuma contro Marc Amand in due riprese. Dopo averlo difeso con Vincenzo Limatola si accende una opportunità mondiale. La sfida è contro il fuoriclasse Daniel Zaragoza ma per la cintura WBO dei supergallo. Così Nati affronta Zaragoza debilitato da una dieta più che crudele e davanti al suo pubblico di Forlì perde prima del limite. Nel 1989, a trentatre anni, si prospetta una seconda opportunità iridata e questa volta non se la fa sfuggire. A Teramo con molta grinta e fortuna batte Ken Mitchell per squalifica e diventa campione del Mondo WBO dei supergallo. L’anno dopo ancora mille sacrifici per scendere a 55 kg e per perdere la corona a Sassari per mano del portoricano Orlando Fernandez. Ritiratosi nel 1991 con un bella vittoria, Nati entra subito nello staff azzurro come tecnico.

Il quarto scranno spetta a Vincenzo Gigliotti. Una carriera dilettantistica tinta di azzurro lo porta a disputare i campionati mondiali juniores a Lima in Perù. La decisione federale di farlo partecipare tra i pesi mosca risultava deleteria e usciva al primo turno. La delusione patita gli faceva abbandonare la boxe per un breve periodo. Fu l’amico Giovanni Parisi a stimolarlo a riprendere l’attività e sul finire del 1995 passava al professionismo. Pugile dalla boxe spettacolare, un guerriero, dotato di coraggio, stoicismo e grande volontà, ne hanno fatto uno degli atleti più ammirati dalle platee italiane, in questi ultimi anni. Allievo ben impostato da Livio Lucarno, da professionista veniva seguito dall’altro maestro vogherese Luciano Bernini. Dotato di ritmo e potenza, non mancava di tecnica anche se preferiva la battaglia ravvicinata. Lo si può definire “atleta di questi tempi” in quanto il pugilato per lui è stato sempre un secondo lavoro. Impresario edile non ha mai voluto trascurare il suo principale cespite per il poco remunerativo sport del pugno guantato. Prima di ogni cosa la famiglia ed in secondo piano la passione per il ring. Dove sarebbe potuto arrivare il vogherese con una preparazione costante da vero professionista? Sicuramente molto più in alto del solo titolo italiano conquistato tra i supergallo. Dieci combattimenti con una sola sconfitta (problemi di preparazione) lo portano a sfidare Alessandro Di Meco per la corona nazionale. Ad Afragola nel luglio del 1998 si sbarazza del campione in carica con una prestazione stupefacente quanto inattesa. Da quel giorno il titolo sarà cosa sua fino al momento in cui abbandonerà l’attività nel 2004. Difende il trono italiano il 18 marzo 1999 a Toscolano Maderno, località rivierasca sul lago di Garda, in quello che verrà riconosciuto come l’incontro più spettacolare in Italia quell’anno. Marcello Calabrese si rivelava avversario degno, ingaggiando una battaglia senza soluzione di continuità, un match d’altri tempi che infiammava il pubblico presente. Dopo sette riprese ad armi pari il romano duramente toccato al fegato abbandonava la lotta con l’onore delle armi. Nello stesso anno supera per due volte Angelo Iodice a Bolzano e a Porto Torres, con perentorie prestazioni grazie alla maggior continuità e potenza. Il ritmo infernale, da vero fighter, che impone ai suoi avversari è difficilmente sostenibile, infatti la maggior parte delle sue vittorie le ha ottenute prima del limite. Senza avversari in Italia il pugile di Voghera si lancia verso una valorizzazione internazionale ed accetta un combattimento per il titolo WBU contro il messicano Carlos Contreras. A Sassari Vincenzo si batteva alla pari del fortissimo pugile di Ciudad Juarez per cedere nella parte finale del combattimento. Non aveva mai superato le otto riprese e questo per un pugile part-time come il vogherese risulterà il motivo dominante nel prosieguo dell’attività. Nel 2001, rubando il tempo al suo lavoro con enormi sacrifici, si rifaceva conquistando il titolo internazionale WBA a Gossolengo, nel piacentino, sul francese Brahim Abouda. Lo difendeva contro l’altro transalpino Frederic Bonifai per lasciarlo a Turkay Kaya che lo superava a Piacenza. Nell’anno successivo respingeva con un perfetto montante al corpo l’assalto al titolo italiano da parte di Francesco D’Arcangelo sul ring di Toscolano Maderno, in quella che sarà l’ultima difesa della corona nazionale per mancanza di avversari. Ormai le sue apparizioni sul quadrato si diradano. A Clemont Ferrand in Francia perde con Salim Medijkoune. Finalmente gli viene offerta quell’opportunità di combattere per l’europeo lungamente inseguita. Per il titolo lasciato vacante dal franco-iraniano Mayar Monshipour, il pavese affronta a Bradford l’inglese Eshan Pickering. Il match confermava le previsioni e la condizione di pugile in disarmo del nostro. Fino a che non ebbe finito la benzina, il campione italiano riusciva a battersi alla pari con lo sgusciante avversario. Esaurita l’autonomia capiva che ormai ogni speranza di successo era svanita e abbandonava la competizione. Peccato! Come detto in precedenza, il vogherese pagava gli sforzi di un cammino agonistico sacrificato sull’altare del lavoro.

Pietro Anselmi

 

 

 

 

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