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13 febbraio 1952, Nicola Funari sfida Raymond Grassi a Marsigliadi Alessandro Bisozzi Nato il 15 luglio 1929 a Civitavecchia, Nicola Funari aveva debuttato da dilettante a soli sedici anni. Il suo maestro fu naturalmente Carlo Saraudi, ma Nicola aveva un grande campione cui ispirarsi, un atleta della sua stessa categoria di peso e col quale condivideva molto del modo di boxare: Vittorio Tamagnini. Era veloce, tatticamente molto scaltro e con una spiccata propensione ad adattare la sua scherma a quella dell'avversario. Egli non si opponeva mai con forza all'aggressività, piuttosto la aggirava, la assecondava, la sfruttava a suo favore disponendosi sempre nella posizione migliore per colpire d'incontro. Le sue celebri schivate basse, prese a prestito dal repertorio di Tamagnini, diventarono il segno distintivo del suo modo di difendersi e contrattaccare. Era una manovra imprevedibile e rapidissima, l'avversario rimaneva prima sconcertato davanti a quel dissolvimento, per poi essere colpito, subito dopo, dal montante nella fase di risalita. Era astuto Nicola, qualità resa necessaria dal fatto che non possedeva un pugno da ko, eppure non disdegnava la battaglia a viso aperto. Fisicamente non era quello che si dice un fusto, ma ogni parte del suo corpo aveva sviluppato caratteristiche pregevoli e strettamente necessarie al servizio di un'arte destinata all'annientamento. Chiunque lo avesse sottovalutato avrebbe poi imparato a sue spese che razza di guerriero si nascondeva sotto quell'aspetto asciutto e magrolino. Professionista non ancora ventenne, Funari fu il 189° avversario del leggendario Gino Bondavalli e uno dei pochi che riuscì a batterlo. L'anno dopo provò l'assalto al titolo italiano dei pesi piuma, ma a sbarrargli la strada trovò il campione olimpionico Ernesto Formenti, un fenomeno che da dilettante aveva già vinto tutto quello che c'era da vincere, perfino il Guanto d'Oro, il massimo trofeo statunitense per la categoria cadetta. Dopo quella sconfitta, per Nicola arrivarono alcuni altri incontri per affinare una tecnica ancora un po' grezza e disordinata, poi una grossa occasione per mettersi in mostra, a Marsiglia, contro un talentuoso pugile ventiduenne dalle doti strabilianti: Raymond Grassi. Una fase del combattimento tra Grassi e Funari Nato il 5 maggio 1930 a Marsiglia e dilettante a diciassette anni, Grassi aveva sostenuto cinquantasette combattimenti perdendone solo cinque prima di passare professionista nel 1951. Atleta virtuoso, dotato di qualità naturali raffinatissime e di un pugno portentoso, Ray fu subito ribattezzato la "piccola meraviglia marsigliese" dai giornali sportivi francesi. Rivelazione autentica, pugile versatile ed intelligente, dinamico e particolarmente ostinato, Grassi aveva tutte le carte in regola per diventare uno dei migliori pugili francesi: velocità, estro, fantasia, resistenza e potenza, tanta potenza. Prima di affrontare Funari, il marsigliese aveva portato a termine quindici combattimenti senza perderne nemmeno uno. Atleti di mestiere come Bernard Dodin, Jules Chartier, Henri Denis e l'italiano Mario Lutti non riuscirono ad imporsi alla giovane promessa di Provenza. Avviato ad una splendida carriera, Grassi cavalcava la breccia dell'onda e nessun competitore sembrava poter essere un serio problema per lui, almeno fino a quel momento. Dopo il vittorioso incontro a Tolone con Francesco Fiorani, nel 1951, il marsigliese produsse una così tale impressione da meritarsi l'«Oscar» di migliore sportivo di Francia. Il titolo nazionale era alla sua portata, ma Ray aveva ancora bisogno di alcune verifiche e l'incontro con il forte piuma italiano rappresentava un test importantissimo per lui. Funari aveva già affrontato pugili francesi quali Marcel Lesage, Maurice Forni e Marcel Gallon, ma alla luce degli ultimi risultati e delle formidabili prestazioni rese, Grassi si mostrava come il più pericoloso di tutti loro. Stavano per incontrarsi due fra i migliori pesi piuma d'Europa, la "speranza" francese e quella italiana, due giovani leoni pronti a risolvere una questione di superiorità e desiderosi di mettersi in mostra nel contesto internazionale. Grassi aveva speso l'ultima settimana producendosi sul ring in una sessantina di round, sotto la supervisione del suo mentore Henri Barba, vecchio peso welter dei tempi d'oro. Nicola arrivò a Marsiglia due giorni prima dell'incontro in compagnia di Carlo Saraudi. Era preparatissimo, sapeva che il match sarebbe stato particolarmente difficile, ma per lui non c'erano grossi problemi, avrebbe dato il meglio, disse in un'intervista. Concitazione negli scambi tra Grassi e Funari Il 13 febbraio 1952, il Teatro del Casinò Variétés accoglieva per la prima volta un incontro di boxe. È una serata di gala, personaggi importantissimi occupano le prime file sotto il ring; c'è un fitto via vai di politici, artisti, attori, facce note e individui poco raccomandabili protetti da un impenetrabile muro di guardie del corpo. Il lucroso giro delle scommesse intorno al pugilato rappresentava uno degli interessi più grandi della malavita e Marsiglia, in quegli anni, era notoriamente uno dei centri di maggiore attività dei redditizi affari della criminalità organizzata. Funari e Grassi salgono sul ring visibilmente nervosi, conoscono l'uno la fama dell'altro e in qualche modo si assomigliano. Sono entrambi irriducibili attaccanti, ostinati e accaniti, con una grande varietà di colpi nei rispettivi repertori e perfino il peso è lo stesso: cinquantotto chili precisi. L'incontro parte subito alla grande, Funari assale il francese con eccezionale aggressività, un'apertura inedita per lui che probabilmente vuole far capire subito come intende condurre lo scontro. Grassi per il momento arretra, cerca la misura, prova a bloccare le iniziative dell'altro allungando di continuo il jeb sinistro come un fioretto, ma Nicola è scatenato, non da tregua al rivale, lo attacca senza concedergli un attimo di respiro, lo costringe a una difesa disperata e piuttosto confusa, riuscendo sempre a trovare un varco dove far passare i suoi pugni. Verso la quinta ripresa il francese si riorganizza, ha trovato un buon assetto e forse ha anche intuito alcune debolezze dell'italiano. Funari, infatti, durante gli assalti ha la tendenza a scoprirsi troppo e questo lo espone alle puntuali risposte di prima intenzione dell'avversario. Ha inizio una battaglia senza esclusione di colpi. Grassi comincia a portare una rapida serie di incursioni dalla distanza, colpi precisi ed insistenti infilati abilmente tra gli attacchi del civitavecchiese che sembra soffrire la nuova impostazione data al confronto dal marsigliese. È un combattimento esaltante e spettacolare che non tradisce le aspettative del pubblico, i due pugili non si risparmiano. Funari è dinamico ed esuberante, ma a volte, preso dallo slancio, impreciso; Ray, invece, appare meno mobile e questo gli da l'opportunità di essere più incisivo. L'adattamento alle circostanze è una tra le capacità più importanti ed essenziali che un pugile dovrebbe possedere e Funari era senz'altro dotato di questa istintiva versatilità strategica che gli permetteva di capovolgere, a suo favore, le situazioni più complicate. A metà delle dieci riprese previste, il match cambia di nuovo fisionomia. Nicola ha capito che cercare di chiudere la partita prima del termine è un obiettivo piuttosto ambizioso di fronte a un avversario come Grassi, e allora questa volta è lui ad imporre una correzione del ritmo, una sensibile variazione di manovra. È un ritorno al suo stile classico, quello lucido e intelligente che gli aveva permesso di battere, per ko, proprio uno specialista del fuori combattimento: Marcel Lesage. Cinque round, quindici minuti di autentico virtuosismo applicato alla scherma pugilistica, momenti difficili per il francese costretto a subire la nuova impostazione data al match da un avversario che si è dimostrato superiore per capacità di concentrazione ed esperienza. Funari è incontenibile, travolgente, brillante, sferra decine di colpi da ogni angolazione e con una tale perfetta scelta di tempo da suscitare perfino qualche timido applauso, oltre ad una certa comprensibile preoccupazione, da parte del pubblico marsigliese. Egli ha afferrato saldamente il comando delle operazioni riportandosi in netto vantaggio su Grassi, al quale di sicuro non è mancato il coraggio ne lo spirito battagliero, ma solo un po' di lucidità. Il match si chiude in crescendo per il giovane civitavecchiese, dominatore di un combattimento stupendo e a tratti violentissimo che ha infiammato la sala del Teatro del Casinò Variètès. Nicola Funari ha vinto. Il francese si è dimostrato un talento di razza, un atleta giovane dalle qualità eccelse e indiscusse potenzialità. Alcune piccole lacune, dovute all'inesperienza, le avrebbe potute sicuramente colmare col tempo: se solo Ray ne avesse avuto di tempo. Il 6 dicembre del 1953, sul ring dell'Arena Prado a Marsiglia, Grassi incontra l'algerino Mohammed Chickaoui per difendere il titolo francese dei pesi piuma. Fisico imponente e dall'indole particolarmente aggressiva, Chickaoui si presenta con un record impressionante, ventotto vittorie su trenta combattimenti realizzati. Lo scontro è di una violenza inaudita, Grassi non arretra di un millimetro davanti alla schiacciante preponderanza dell'algerino, fin quando alla nona ripresa un pugno di devastante potenza lo centra alla testa. Le gambe cedono, gli si afflosciano sotto il suo stesso peso, barcolla da un lato mentre lo sfidante approfitta per colpirlo ancora un paio di volte, finché Ray crolla al tappeto, in ginocchio. Che non fosse un atterramento come un'altro, Henri Barba lo capì nel momento stesso in cui gettò la spugna. Il suo amato allievo aveva subito una parziale paralisi istantanea e lui stesso fu costretto a sollevarlo di peso e portarlo fuori dal ring tra le braccia. Trasferito immediatamente in ospedale, Grassi fu sottoposto a una delicata operazione chirurgica alla testa, ma tutti gli sforzi, purtroppo, non servirono a salvargli la vita. Dopo due giorni di penosa agonia, il generoso e giovane cuore di Ray Grassi, la "speranza" della boxe francese, smise di battere. Alessandro Bisozzi |
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