Esclusiva classificazione di Pietro Anselmi
L’aspirazione di sportenote tesa a pubblicare la catalogazione dei primi dieci ex pugili professionisti italiani di ciascuna categoria di peso, grazie alla passionale capacità dell’amico Pietro Anselmi, approda nella divisione di peso dei piuma.
La sua scrupolosa investigazione tra gli innumerevoli italiani che hanno militato nella categoria dei pesi piuma, unitamente alla sua abilità narrativa, diventa conoscenza della parte migliore della divisione di peso trattata in questa puntata.
Ecco l'undicesima "sfornata". Con un click sul nome di ciascun pugile si accede al record. Buona lettura.
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Anche tra i pesi piuma si evidenzia il raffronto indiretto tra il valore dei pugili del passato con quelli attuali. Per questa ragione si fa difficile il confronto tra gli uni e gli altri essendo una categoria ricca di campioni meritevoli.
Al primo posto pongo [Luigi Quadrini]. E’ stato il quarto pugile italiano a conquistare il titolo europeo ma il primo ad averlo fatto in terra straniera, contribuendo ad accrescere il prestigio del nostro pugilato nel vecchio continente. Pugile di notevole classe e di un temperamento votato alla battaglia, la sua boxe era tutto un ricamo, un fuoco d’artificio: era arte pura. Esordiva giovanissimo, aveva quindici anni, a Lione dove si era trasferito per imparare il mestiere di barbiere. La boxe lo affascinò immediatamente e i numerosi successi lo posero all’attenzione di tutti. Chiamato una prima volta in Italia, pareggiava a Monza con il forte Umberto Codeleoncini e quindi si trasferiva in Spagna sotto la guida di Dorval. In questa seconda fase della sua lunga carriera, malgrado alcuni insuccessi acquisiva quell’esperienza che avrebbe fatto di lui un pugile completo. Il suo ritorno in Italia fu trionfale. A Milano pareggiava un grande combattimento con il campione d’Europa dei pesi gallo Domenico Bernasconi e meno di un mese dopo superava per la prima volta Ambrogio Redaelli conquistando il titolo italiano dei piuma. Fu un grande match fra i due gladiatori e la vittoria arrise al più giovane dei due sovvertendo il pronostico. Il titolo italiano e la successiva vittoria sul grande Henri Scillie gli facevano ottenere la chance europea contro il detentore spagnolo Antonio Ruiz, che otto mesi prima lo aveva battuto. A Madrid il piccolo casertano compiva un autentico capolavoro superando il duro spagnolo in quasi tutte le quindici riprese, portando all’Italia il quarto alloro europeo. Aveva solo diciannove anni compiuti; meno di un mese dopo respingeva con un pareggio, visto solo dai danesi,l ’assalto di Knud Larsen che sul ring di casa non aveva mai subito sconfitte. Il Forum di Copenaghen era tutto esaurito e Quadrini trionfava con almeno quattro punti di vantaggio. Il “fattore casa” esercitava i suoi effetti partorendo un bugiardo verdetto di parità. Ci riprovarono un anno più tardi i danesi, alle cui “corone” Quadrini non era insensibile. Se la prima volta con quattro punti di vantaggio il nostro campione otteneva solo un pareggio si capisce come questa volta con soli due punti gli sia toccata un’amara ed immeritata sconfitta. Al suo ritorno in Italia doveva difendere il titolo italiano da un nuovo assalto di Ambrogio Redaelli. Per questo combattimento gli venne offerta una cifra talmente ridicola che lo indusse a disputare il match a porte chiuse. Alla Sala Carpegna di Milano Quadrini ribadiva in modo perentorio la sua superiorità tecnica sul rivale, il quale viceversa aveva perso quella caratteristica che gli aveva fatto ottenere il nomignolo di “motorino”. Impegnato in Francia ed in Spagna il casertano venne privato d’ufficio del titolo ma mantenne la qualifica di co-sfidante con l’antico avversario Ambrogio Redaelli. Il terzo combattimento tra i due fieri rivali non fu all’altezza dei precedenti. Il caratese aveva avuto seri problemi di peso, risolti solamente alla vigilia del confronto. La vittoria di Quadrini fu nettissima. Subito dopo partiva alla volta dell’America dove tra gli altri incontrava il futuro campione del mondo Kid Chocolate. Nel Settembre di quello stesso anno decadde di nuovo dal titolo italiano per l’impossibilità di difenderlo. Anche questa volta manteneva la prerogativa di co-sfidante ed al suo ritorno si ritrovava di fronte l’astro nascente della categoria Vittorio Tamagnini. In pessime condizioni di forma, a sorpresa venne battuto per il vacante titolo nazionale. Sempre in giro per il mondo, un anno e mezzo dopo gli venne offerta una nuova opportunità; il titolo si era di nuovo reso vacante e questa volta fu il romano Otello Abbruciati il prescelto a battersi con lui. A Milano dopo un combattimento molto equilibrato dove era quasi impossibile trovare un vincitore, i giudici dovettero assegnare il titolo che era vacante. Tra i fischi del pubblico il favorito fu l’avversario. Sette mesi dopo a Roma, lo stesso risultato permise ad Abbruciati di mantenere la corona di campione d’Italia e fu questo l’ultimo combattimento valido per un titolo disputato da Quadrini. Questi, instancabile giramondo riprese la via dei quadrati esteri: Spagna, Francia, Nord Africa, Sud America ammirarono la sua classe anche se le sconfitte ormai erano superiori alle vittorie. Ma i suoi avversari erano tutti atleti di prima fila, tra i quali i titolati Al Brown e Freddie Miller. Si stabiliva quindi a Vercelli e perse il suo ultimo combattimento in Germania contro il modesto Karl Beck. Aveva solo trent’anni ma una lunga e dispendiosa carriera sulle spalle. Trasferitosi a Firenze, rimase per po’ di tempo nel pugilato come insegnante itinerante, prima di abbracciare la professione di massaggiatore.
Il secondo gradino lo dedico a [Vittorio Tamagnini]. Grande peso piuma e grande peso leggero per aver conquistato il titolo europeo dopo l’abbandono di questo da parte di Enrico Venturi. Ho preferito inserire il civitavecchiese nella categoria inferiore perché secondo il mio parere è stato il periodo in cui ha contribuito con il trionfo olimpico di Amsterdam dei nostri giovanissimi moschettieri, Orlandi, Toscani e Tamagnini, ad inserire il pugilato italiano nella grande realtà europea e mondiale. A diciannove anni passava al professionismo forte di una tecnica raffinata ed un ardore combattivo fuori dal normale. Come peso piuma disputava 45 combattimenti battuto solamente da José Girones e Maurice Holtzer per il titolo europeo e dal campione del mondo Young Perez a Tunisi. Tra un viaggio e l’altro all’estero conquistava per due volte la corona italiana dei piuma. A sorpresa, la prima volta, in prepotente ascesa a Bologna superando Luigi Quadrini. Il casertano si era presentato all’appuntamento in precarie condizioni di forma, al ritorno della sua permanenza in America, ma anche le sue caratteristiche di eccelso incontrista nulla hanno potuto contro la velocità e la foga del civitavecchiese. Con la corona di campione d’Italia sul capo sfidava lo spagnolo José Girones per il titolo europeo. Il catalano aveva tolto il titolo a quel Knud Larsen già vincitore del nostro Quadrini. Nella famosa Arena dei Tori di Barcellona, affollata come non mai, il match non è stato felice per l’italiano. Ferito all’occhio sinistro nel corso del quarto round, Tamagnini non ha potuto esprimere compiutamente il suo valore. Impossibilitato a vedere i colpi dell’idolo di casa si arrendeva all’undicesimo round quando, secondo il giudice italiano, vantava ancora un punto di vantaggio. Nel novembre del 1931, a causa del servizio militare veniva destituito del titolo. Dopo una bella serie di vittorie, tra le quali spiccano quelle su Domenico Bernasconi, sul funambolico cubano Al Brown e su Victor Young Perez, entrambi campioni mondiali, all’inizio del 1934 al teatro Adriano di Roma, affollato all’inverosimile, toglieva il titolo al forte Abbruciati prima di partire per una fortunata tournée in America. Al suo ritorno sfidava il francese Maurice Holtzer per il vacante titolo europeo dei piuma, abbandonato da Girones. Al Palais des Sports di Parigi non fu una fortunata serata per l’italiano il quale, menomato da dolori alla mano sinistra (postumi da infortunio), non poté esprimersi al meglio. In vantaggio fino alla sesta ripresa, dovette subire il ritorno del francese con il quale finiva sulla stessa linea. Si doveva trovare un vincitore e dai cartellini dei giudici usciva il nome del francese. Il giudice italiano Cav. Mazzia aveva un punto per Tamagnini. Dopo un anno circa difendeva la corona di campione italiano dal violento assalto che gli portava il milanese Vincenzo Dell’Orto, un campione in ascesa. Con un parsimonioso uso del diretto sinistro, da poco guarito, riusciva a rintuzzare tutti gli attacchi di Dell’Orto rivelatosi avversario superiore alle attese e con un finale travolgente manteneva la corona. Finiva in questo modo la sua avventura come peso piuma. Passava di categoria e si trovava subito co-sfidante con il belga Raymond Renard al vacante titolo europeo. Il combattimento aveva luogo al mitico teatro Jovinelli davanti ad una folla che aveva esaurito ogni ordine di posti. Molta gente era rimasta fuori, segno che i romani credevano nell’impresa. Tamagnini, in forma perfetta, dava una grande dimostrazione di valore e scienza pugilistica alla quale il campione belga non seppe opporre che grande coraggio. Ferito e non più in grado di difendersi, Renard abbandonava la contesa. Ancora una volta l’alloro europeo rimaneva in Italia rimarcando la superiorità del nostro pugilato tra i pesi leggeri. Solamente due mesi dopo Tamagnini affrontava al Vel. D’Hiver il pericoloso Gustave Humery al quale rendeva due chilogrammi di differenza. La “Tigre di Valencienne” idolo dei parigini, famoso per il suo destro distruttivo, poggiava le speranze di vittoria su una tattica aggressiva che scompaginasse la linearità tecnica dell’italiano. Viceversa, sconvolgendo ogni aspettativa fu il nostro ad aggredire l’avversario il quale, alla sesta ripresa, capiva di non poter resistere sotto i precisi colpi doppiati del campione in carica ed abbandonava la contesa. Pochi giorni di riposo ed ecco Vittorio respingere, dominando, Rudolf Kretzshmar allo Sportpalast di Berlino, davanti ad ottomila presenti, dando dimostrazione come sempre di grande classe. Tornava quindi a Parigi per incontrare Maurice Arnoult. Questi per dieci riprese subiva un’autentica lezione di boxe. Colpi doppiati e scariche velocissime sconcertavano il francese, letteralmente in balìa dell’italiano, troppo fiducioso al punto di essere sorpreso da un fortunato uppercut che toglieva ogni forza al civitavecchiese, investito poi da potenti scariche che lo facevano accasciare al tappeto. L’italiano si rialzava ma l’arbitro svizzero Nicol giustamente fermava il combattimento. Questa dura sconfitta toglieva sicurezza al pugile di Civitavecchia e le sconfitte cominciarono a fioccare. Battuto da Aldo Spoldi ritentava in seguito la conquista del titolo italiano dei leggeri ma venne respinto da Otello Abbruciati una prima volta, da Gino Giacomelli una seconda. Infine da Giuseppe Palermo nel suo ultimo tentativo. Si ritirava a soli ventinove anni salvo un nostalgico rientro dopo poco più di un lustro d’inattività. Moriva nella sua città all’età di ottantuno anni.
La terza postazione la destino a [Maurizio Stecca]. Mobilità tecnica e velocità sono stati il marchio di fabbrica di Maurizio Stecca durante sei anni di dilettantismo ai massimi livelli e dieci di professionismo. Altro prodotto della “fucina” riminese degli anni ottanta, sin da giovanissimo Stecca lascia le corse campestri per il pugilato dove inizia una fantastica carriera. A diciotto anni è campione italiano novizi ed è già uno dei giovani più promettenti in campo nazionale. Nel 1979 a Fano si laurea campione d’Italia dei pesi gallo battendo in finale La Serra. Da qui parte una carriera verticale che grazie alla sua boxe spumeggiante lo porta a vincere dovunque ed a conquistare prestigiosi risultati come tre campionati italiani, il titolo di campione d’Europa junior, l’argento agli europei senior, la vittoria in Coppa del Mondo 1983 a Roma. Ma l’obbiettivo principale del frenetico romagnolo sono le Olimpiadi di Los Angeles nel 1984. Qui Stecca si supera e dopo quattro vittorie spettacolari, in finale contro il messicano Hector Lopez conquista l’oro olimpico. Il suo ritorno in patria è trionfale come il suo ingresso nel professionismo con il fido maestro Elio Ghelfi all’angolo. Superato qualche problema di scuderia, l’esordio a torso nudo avviene nel dicembre del 1984. Quattro anni passano prima che “Icio” Stecca si presenti sul ring per un titolo importante. Senza maglietta combatte come peso piuma ed ha messo in fila trentaquattro avversari quando nel 1989 a Milano gli si presenta l’occasione per battersi per il titolo del mondo della neonata sigla WBO. L’avversario è quel Pedro Nolasco, portoricano che aveva già battuto nella semifinale olimpica. Stecca realizza un capolavoro di efficienza tecnica mettendo fuori combattimento Nolasco al sesto round, cingendo la cintura iridata. Stecca sembra poter dominare a lungo nella sua sigla ma lo sponsor televisivo chiede avversari di alto livello. Dopo una facile difesa contro Angel Levy Mayor a Rimini nel novembre del 1989 affronta l’americano Louie Espinosa, già campione mondiale WBA dei pesi supergallo, un atleta scolpito nella roccia che lo batte prima del limite nel corso della settima ripresa. Dopo un anno di attesa nel 1991 l’opportunità iridata si concretizza nuovamente ed a Sassari battendo Armando Reyes torna campione del mondo per la stessa sigla. Alla riconquista seguono nello stesso anno due difese mondiali contro Fernando Ramos e Tim Driscoll, poi è costretto ad accettare la sfida del temibile inglese Colin McMillan che lo batte a Londra dopo dodici riprese di intenso agonismo. Tra il 1992 ed il 1993 Maurizio raccoglie altre soddisfazioni ed interpreta alcuni spettacolari performances. Conquista il titolo d’Europa dei piuma battendo in Francia Fabrice Benichou, poi lo perde e riconquista sempre oltr’alpe contro Hervé Jacob. Nel 1993 dice addio all’alloro continentale per mano del francese Stephane Haccoun. L’ultima impresa la compie nel 1995 quando conquista il titolo italiano dei superpiuma battendo Athos Menegola a San Benedetto del Tronto. Oggi Stecca è responsabile azzurro delle squadre giovanili.
Il quarto posto spetta a [Gino Bondavalli], ovvero la "Girandola". E’ questo il soprannome che i suoi tifosi gli affibbiarono per il suo stile di combattimento: un veloce mulinar di braccia e grande mobilità. Da autodidatta a pugile, senza dubbio più attivo della boxe italiana con 194 combattimenti da professionista e circa 180 da dilettante. In questa prima parte di carriera disputava i campionati europei di Budapest nel 1934, eliminato in modo discutibile dal tedesco Kaestener che avrebbe vinto il titolo e difendeva la maglia azzurra in nove combattimenti di cui uno solo perso. Passato al professionismo manteneva tutte le promesse, combattendo con grande intensità sui quadrati nazionali, destreggiandosi tra i pesi gallo e piuma indifferentemente. Tra il 1941 e il 1942 arrivò a detenere contemporaneamente quattro titoli: quelli italiani ed europei delle due categorie, unico pugile ad essere riuscito in tale impresa. La prima volta da campione fu a Milano al teatro Puccini quando venne favorito dal verdetto dopo un combattimento molto equilibrato con lo spezzino Bruno Grisoni. Ancora una volta, a titolo vacante, venne prescelto il pugile stilisticamente migliore, ma il pubblico milanese, neutrale, non fu completamente d’accordo. Incombeva il servizio militare ed il reggiano veniva dichiarato decaduto. Due anni dopo si ricollocava in cima ai valori italiani; il titolo dei piuma era passato dalle mani di Grisoni a quelle di Gustavo Ansini e questi lo aveva abbandonato per problemi di peso. Bondavalli e Antonio Fabriani furono i prescelti a contendersi la corona. A Roma vinse l’esperienza e la maggiore attitudine ai duri combattimenti della “Girandola Reggiana” anche se tra i due vi fossero quasi due chilogrammi di differenza a favore del romano. Quattro mesi dopo era Mario Gualandri ad insidiargli la corona. Al mitico teatro Jovinelli, tutto esaurito, al termine di una emozionante battaglia il verdetto di parità venne considerato giusto. Fu quindi la volta di Otello Abbruciati a soggiacere al ritmo indiavolato del campione in carica al termine di una entusiasmante battaglia. Incessante era la sua attività e cinque mesi dopo regolava i conti con Mario Gualandri a Bologna prima di ritrovarsi di fronte ad Antonio Fabriani al quale concedeva la rivincita. Bondavalli non badava troppo al fattore campo, bastava pagarlo bene, e a Roma venne concesso un generoso pareggio che non rispecchiava i valori sul ring. Senza rivali in Italia venne il suo turno a battersi per l’europeo. Nella Engelmann Arena di Vienna l’austriaco Ernst Weiss dovette ammainare bandiera di fronte all’incredibile ritmo del reggiano che, conscio di essere in casa dell’avversario si era ottimamente preparato per tenere le quindici ripresa senza flessioni di ritmo. Due mesi più tardi era la volta di Quinto Massi, nella sua Terni a sottostare alla superiorità di Gino che, instancabile, solo venti giorni dopo batteva Gino Cattaneo a Reggio Emilia per il campionato d’Europa dei pesi gallo. Questo titolo lo difendeva a Ferrara il 17 maggio 1942 ed il combattimento vedeva in palio il titolo europeo di Bondavalli e quello italiano di Tagliatti. Con questo successo il campione di Reggio Emilia entrava in possesso contemporaneamente delle quattro corone nelle due categorie. Quindici giorni dopo metteva in palio l’Europeo a Reggio Emilia contro l’ex campione Lucian Popescu. Gino entusiasmava ancora una volta i suoi sostenitori con quella incessante girandola di colpi che da tutte le parti piovevano sul povero rumeno. Prima di recarsi a Bucarest ad impartire la stessa lezione di pugilato al cugino di Lucian, Gheorghe Popescu (sportivamente lo stesso pugile alzava il braccio dell’italiano in segno di vittoria) Bondavalli respingeva un primo assalto di Ulderico Sergo al suo titolo dei pesi gallo a Fiume. Ritornava tra i piuma e sul ring di Lugo respingeva Danilo Pasotti, un avversario pericolosissimo specialmente sul ring di casa, dove un pubblico caloroso ne centuplicava le forze. Infatti fu un combattimento molto duro. Tra i due protagonisti correvano dieci anni di differenza e Pasotti sostenuto da un gran fisico e da una volontà eccezionali impegnava allo spasimo il campione che si salvava come sempre in virtù di una classe superiore. Il pareggio finale faceva imbestialire i tifosi locali al punto di aggredire con pugni e calci l’arbitro Zamporlini. La guerra che infuriava in Europa non permetteva l’attività internazionale, salvo che nei paesi dell’Asse, ed al reggiano non restava che esibirsi sui quadrati italiani. A Milano nel 1944 Federigo Cortonesi lo spodestava tra le proteste di gran parte del neutrale pubblico milanese. Alla Sala Spallanzani, gremita di gente, il match tra il fine schermidore grossetano, costantemente al’attacco, e la grande abilità difensiva dell’anziano campione sarebbe finito ancora una volta in parità, ma questa volta i giudici favorivano il più giovane attaccante. Perso il primo dei quattro titoli in suo possesso, salvava per ben due volte quello dei pesi gallo con un pareggio, prima a Trieste con Ulderico Sergo e poi a Novara contro Nino Morabito. A trentatre anni la sua attività era ancora intensa; instancabile percorreva la penisola in lungo ed in largo, ma era a pochi passi dalla sua città, a Modena, dove lasciava l’europeo dei piuma nelle capaci mani del cremonese-piacentino Ermanno Bonetti. Anche in questo caso l’equilibrio regnava sul quadrato per la grande capacità del vecchio campione di adattarsi magnificamente ad ogni avversario. Fu un combattimento tirato a gran ritmo con vantaggio ora dell’uno ora dell’altro. Due richiami ai suoi danni nella quattordicesima ripresa davano la svolta definitiva al combattimento e malgrado l’orgogliosa reazione finale di Bondavalli la corona europea dei piuma dopo quasi cinque anni cambiava proprietario. Fu un finale d’annata molto amaro quello del 1945. Dopo l’europeo dei piuma Bondavalli perdeva l’ultimo in suo possesso, quello italiano dei pesi gallo, per mani di Arturo Paoletti. Quello europeo dei gallo gli venne tolto a tavolino. La sua vitalità malgrado il peso degli anni lo portarono ad un’attività impensabile ai giorni nostri, riuscendo a disputare nel 1947 la bellezza di 24 combattimenti con solo due sconfitte: la prima a Parigi contro il fuoriclasse Ray Famechon e la seconda contro Enzo Correggioli che nel frattempo era diventato in nuovo campione italiano della categoria. Il match valido per il titolo non sfuggiva al più giovane detentore, anche se il verdetto di squalifica per scorrettezze era parso troppo precipitoso agli occhi del pubblico ferrarese. Bondavalli combatteva ancora per due anni fino all’aprile del 1950 quando quasi quarantenne decideva di abbandonare l’attività. Fu sicuramente un campione dalla carriera irripetibile. Il suo primato dei quattro titoli in contemporanea probabilmente rimarrà ineguagliato ma in tutta onestà dobbiamo rimarcare i fatti che lo hanno permesso. Nel 1942 la IBU che governava il pugilato in Europa, venne sciolta dal potere militare che sovrastava il continente e venne creata l’APPE (Associazione Pugilato Professionistico Europeo) alla quale aderirono solo le Federazioni delle Nazioni vincenti in quegli anni quali Germania, Austria, Italia e Romania. Infatti dal 1942 al 1946 tutti i campioni europei furono italiani o tedeschi con l’austriaco Weiss ed il rumeno Popescu. Bondavalli ha potuto approfittare della situazione. Nel 1946 venne costituita l’EBU che azzerava tutti i titoli e la situazione tornava alla normalità. Il reggiano fu un pugile essenzialmente casalingo, in senso nazionale, e solamente quindici volte varcava i confini nazionali con alterni risultati.
La quinta posizione la riservo a [Sergio Caprari]. Trent’anni dopo Luigi Quadrini l’Italia trovava un nuovo fuoriclasse nei pesi piuma. Tutti quelli che in questo periodo si sono avvicendati ai vertici della categoria hanno onorato con il loro impegno e valore il pugilato italiano. Campioni d’Europa e d’Italia hanno contribuito a farne una delle più titolate in assoluto. Ma Sergio Caprari aveva qualcosa in più dei suoi predecessori. Pugile tecnicamente completo poteva contare su un’adeguata potenza di pugno, la quale gli permetteva di tenere in soggezione gli avversari, anche se le sue vittorie prima del limite non furono in verità moltissime. Giunse alla conquista del titolo italiano e di quello europeo, praticamente imbattuto, perché l’unico segno negativo della sua carriera, in Australia contro il maltese Sammy Bonnici, fu un grazioso regalo dell’arbitro e cancellato subito dopo con un’autentica lezione di boxe al suo unico e fortunato vincitore. Caprari, guardia destra, fu un ottimo dilettante e difese la maglia azzurra per ben otto volte; nel 1952 conquistava alle Olimpiadi di Helsinki la medaglia d’argento, battuto in finale dal cecoslovacco Jan Zachara. Avrebbe meritato il massimo alloro. A soli venti anni debuttava al professionismo, inanellando vittorie su vittorie. Si batteva per il titolo italiano nelle mani di Nello Barbadoro. A Civitacastellana il vecchio campione fece di tutto per arginare l’azione travolgente dello sfidante. Colpito duro da un sinistro al fegato, seguito da un perfetto montante al mento, il triestino veniva atterrato sia pure per un attimo e nella sesta ripresa, sfiduciato, abbandonava e cedeva lo scettro italiano al giovane campione. La vittoria sul filippino Tanny Campo lo lanciava in ambito mondiale (a quel tempo non esistevano sigle distruttrici ed ingannevoli sui reali valori dei pugili), prima di sbrigare la pratica con Giordano Campari in difesa del titolo italiano. Al Palazzetto dello Sport di Roma i due mancini disputarono un grande combattimento e dopo fasi alterne, nel finale Caprari si avvantaggiava leggermente in virtù del suo tempismo rispetto al pavese. L’americano di colore Bobby Bell, uno abituato a respirare l’aria delle alte classifiche, veniva bellamente superato a Roma prima di difendere il suo titolo contro un sorprendente Aldo Pravisani. Il match disputatosi a Milano fu subito favorevole a Caprari: il suo secco e veloce sinistro incocciava la mascella dello sfidante costretto al tappeto. Rialzatosi il triestino veniva di nuovo abbattuto da un pesante crochet. Sembrava tutto finito ma Pravisani iniziava il secondo round come nulla fosse successo. I suoi lunghi destri doppiati trovavano sempre più di frequente il bersaglio e lo sfidante recuperava punti. Al decimo round un nuovo crochet sinistro gli annebbiava le idee, dando modo al pugile di Civitacastellana di mantenere un misero vantaggio che però gli permetteva di conservare la corona. Sergio era pronto per l’europeo. Jean Sneyers, “l’Angelo del Ring”, campione in tre categorie scendeva in Italia convinto che la sua superiore esperienza sarebbe bastata per mantenere il titolo. Al teatro delle Palme di Sanremo le cose andarono diversamente: con una tattica estremamente offensiva Caprari costringeva ad un duro lavoro di tamponamento il campione belga che, colpito duramente dal solito montante sinistro prontamente doppiato dal destro, veniva atterrato all’undicesima ripresa. A quel punto Sneyers capiva di non poter reggere oltre ed abbandonava la lotta. Lasciato vacante il titolo italiano effettuava una proficua puntata in Venezuela dove superava un pericoloso Sonny Leon ma riportava un infortunio alla mascella che doveva lasciarlo inattivo per quattro mesi. Alla ripresa non poteva essere nella forma migliore e nell’agosto del 1959 a Sanremo veniva superato di misura da uno scorretto Gracieux Lamperti, il francese che dopo un drammatico confronto gli toglieva il titolo europeo. L’anno successivo, ormai stabilmente in classifica mondiale, assiso sul terzo gradino, tornava a Caracas dove superava Epifanio Pardon e dopo magnifica lotta era il campione del mondo Davey Moore a costringerlo alla resa. Nel frattempo era ritornata in auge la categoria dei superpiuma che nata nel 1921 era rimasta in vigore fino al 1933. Campione in carica era il filippino Gabriel “Flash” Elorde, un pugile quasi imbattibile. A Manila nel dicembre del 1961 questi lo sorprendeva a freddo all’inizio del combattimento ed il match veniva fermato al primo round. Fu l’ultima sua apparizione sul ring dopo cinquantotto appuntamenti con solo quattro sconfitte.
Lo scranno numero sei va ad Elio Cotena. Il napoletano lo possiamo tranquillamente porre tra i grandi della categoria. La sua confidenza con i titoli iniziava da dilettante con la conquista della maglia tricolore nel 1966 a Genova e a Napoli l’anno dopo. A Tunisi nel 1967 vinceva i Giochi del Mediterraneo e partecipava alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. In quegli anni difese la casacca azzurra per otto volte senza subire sconfitte. Persona semplice e schiva, dopo cento mestieri, Cotena si dedicava al pugilato per uscire dai bassi e dalle ristrettezze. Con un simile curriculum si affacciava al professionismo dove, malgrado la poca potenza dei suoi pugni, la sua velocità e continuità di esecuzione, unite a doti di fondo non comuni, avevano modo di rifulgere. Due anni di vittorie lo portarono una prima volta a contatto del titolo italiano e, forse sottovalutando l’avversario Civardi di Piacenza, veniva battuto. Non si faceva sfuggire la seconda opportunità e a Torino toglieva il titolo italiano al nuovo detentore Giovanni Girgenti. Disputava un match intelligente attuando la sua tattica preferita, toccare ed uscire repentinamente, sfruttando la sua maggiore velocità, onde evitare la reazione dell’avversario. Vittoria netta su un grande competitore. In poco più di un anno difese il titolo per sei volte prima di abbandonarlo per tentare la conquista dell’europeo. Dapprima a Lignano Sabbiadoro un sofferto pareggio con Nevio Carbi, indi a Genova respingeva facilmente Giovanni Girgenti; con Enzo Farinelli a Ferrara il match è stato duro ed equilibrato mentre a Montagnana il successo su Bruno Pieracci fu ottenuto con largo margine di punti; a Napoli nel giugno del 1973 manteneva la corona per squalifica di Ambrogio Mariani, mentre in agosto, due mesi dopo, era ancora Bruno Pieracci a sottostare al campione per ferita al quinto round. Chiuso il capitolo a livello nazionale allo stesso modo cominciava quello in Europa: falliva il primo assalto a Saragozza contro il detentore José Antonio Jimenez, un gitano scorretto e permaloso. Ad un minuto dalla fine del match, praticamente vinto, una gomitata al mento non rilevata dall’arbitro Neuhold, lo poneva fuori combattimento. Prontamente il manager Agostino sporgeva reclamo; il verdetto non cambiava ma Cotena rimaneva sfidante ufficiale. Il 12 febbraio 1975 a Napoli si prese una sonante rivincita. Il suo inesauribile ritmo e la continuità con cui portava colpi in serie stroncavano la resistenza dello spagnolo costretto a subire un’autentica lezione di boxe. All’undicesimo round, piegato in due da potenti montanti al corpo, Jimenez veniva fermato dall’arbitro ed Elio Cotena aveva la soddisfazione di conquistare il titolo europeo, nella sua città, settimo italiano di sempre. Il napoletano a trent’anni palesava una maturità straordinaria che lo portava ad acquisire una potenza mai goduta in precedenza ed era questo il momento più felice di tutta la sua carriera. Due mesi più tardi, sempre nella città del Golfo era un altro spagnolo, Rodolfo Sanchez, ad essere respinto. Il combattimento sul filo del pareggio per una buona metà del tempo, trovava il suo dominatore nelle riprese finali per un indubbio successo. Il francese Michel Lefebvre a Cefalù, in Sicilia, si trovava di fronte ad uno spietato campione. Questi dopo aver lasciato sfogare il transalpino nella prima metà del confronto, infittiva le sue azioni con violente e precise scariche. Al dodicesimo round Lefebvre, sfinito. non si rialzava dallo sgabello. Il suo capolavoro Cotena lo compiva alla York Halle di Londra. Qui Vernon Sollas veniva dato sicuro vincitore. Infatti lo svolgimento del match avallava questa sicurezza degli inglesi. Fino al decimo round lo sfidante (soprannominato il giovane Mohammed Alì) gli fu superiore in tutto, alla corta e alla lunga distanza, nei corpo a corpo, ed il titolo gli stava scivolando dalle mani per approdare nella terra di Albione. Improvvisamente il napoletano usciva dal suo letargo alla dodicesima ripresa, innestava il suo ritmo e nel round successivo accadeva l’incredibile. Sollas accusava una serie al corpo. Cotena se ne accorgeva subito, non mollava la preda sballotandola per tutto il ring. Il minuto d’intervallo non bastava al britannico per recuperare. A quel punto il campione sentiva di potercela fare. Riprendeva a ritmo infernale con un interminabile attacco. Sollas cadeva una prima volta al tappeto, si rialzava ma una nuova interminabile scarica lo gettava sulle corde dove lo raggiungeva lo stop dell’arbitro. Fu un trionfo per lui e per la decina di italiani presenti che in quel momento sembravano centinaia, perché all’atto dello stop, il mulatto scozzese era dato ancora in vantaggio. A fare le spese di questa nuova dimensione del campione di Napoli fu tre mesi dopo il vecchio Nevio Carbi. I due avevano pareggiato un confronto per il titolo italiano anni prima, ma questa volta a Trieste la generosità dello sfidante non bastava ad arginare la superiore classe e maturità del campione che prevaleva alla dodicesima ripresa. Carbi, sottoposto ad una valanga di colpi, stanco e ferito, barcollava, cadeva al tappeto e dopo essersi rialzato l’arbitro faceva cessare la lotta ormai impari. Purtroppo la sua splendida avventura doveva finire nel dicembre del 1976. A Madrid successero cose poco chiare. Alla pesatura ufficiale era “sopra” di 746 grammi (poco prima si era pesato in albergo e tutto era a posto) e fu costretto seduta stante ad una lunga sauna che lo debilitava notevolmente. Nonostante ciò fino all’undicesima ripresa il match con Pedro “Nino” Jimenez era ancora saldamente nelle sue mani, ma una improvvisa la stanchezza fece capolino. Un duro destro al volto doppiato lo costringevano al conteggio; nel round successivo colpito ancora una volta tornava al tappeto ed il suo manager gettava la spugna. Persa la corona di campione d’Europa passava nella categoria dei superpiuma e dopo pochi incontri sfidava il campione d’Europa Natale Vezzoli che da un paio d’anni dominava la categoria. A Brescia, dopo un aspro combattimento terminarono praticamente alla pari sulle quindici riprese, ma una split-decision lo diede perdente. Cotena disputava ancora in solo combattimento e lasciava le dure battaglie del ring. Ma non si allontanava dal mondo della boxe e nel marzo del 1980 firmava la sua prima riunione come organizzatore, lasciando un segno indelebile anche in questa nuova e difficile professione.
Al settimo posto posiziono [Ermanno Bonetti]. E’ stato uno dei nostri pugili più tecnici e più completi. Non aveva grande potenza di pugno ma sapeva irretire qualsiasi avversario come fa il ragno con le mosche, nelle trame della sua sottile tecnica. Possedeva una varietà di colpi inesauribile ; la sua boxe era fatta di scatti e di fulminee schivate. Terzo di tre fratelli pugili il piacentino di Monticelli d’Ongina, fu da questa parte del Po a Cremona che sviluppava la sua carriera. Tra i puri conquistava per tre volte il campionato italiano, a Parma nel 1938, a Terni nel 1941e a Viareggio nel 1942, oltre alla medaglia di bronzo agli europei del 1942 a Breslavia, in Polonia. Disputava in maglia azzurra 14 combattimenti con solo due sconfitte. Abbracciava il professionismo un po’ tardi, a ventisei anni, ma bruciava le tappe battendo tutti i migliori del momento. Nei primi 22 combattimenti subiva una sola sconfitta per squalifica di fronte a Danilo Pasotti. Il dominatore dell’epoca Bondavalli era ormai nel suo mirino e l’atteso combattimento valevole per il campionato d’Europa venne organizzato a Modena sulla fine del 1945. Il match mantenne fede alle promesse e fu condotto a ritmo vertiginoso. Il reggiano sfoggiava un “mestiere” superiore ma scatto e incisività stavano dalla parte di Bonetti. L’equilibrio veniva rotto a partire dal dodicesimo round quando sotto la pressione dello sfidante Bondavalli eccedeva in scorrettezze che gli costavano due ammonizioni da parte dell’arbitro, lasciando in questo modo via libera all’avversario. Non fu fortunato Bonetti tra i professionisti; non fu mai campione d’Italia ed il titolo europeo gli venne tolto a tavolino dalla EBU, che come primo atto dalla sua costituzione azzerava tutti i titoli europei conquistati in tempo di guerra. Partiva per la Spagna dove si guadagnava grande stima che metteva a frutto nel Nord America. Dopo un fugace ritorno in Patria rivalicava l’Atlantico per terminare al meglio la sua carriera incontrando i migliori pesi piuma del mondo come Sandy Saddler, Felix Ramirez, Enrique Bolanos e Arthur Persley, fino a togliersi la soddisfazione di superare un campione emergente come Orlando Zulueta che tanto abbiamo ammirato alcuni anni dopo a Milano contro il grande Duilio Loi. Chiusa la carriera si stabiliva in Spagna, dove diveniva maestro e allenatore molto apprezzato.
Per l’ottava collocazione individuo [Salvatore Melluzzo]. Titolare con i fratelli di una avviata carrozzeria a Marsala, con grandi privazioni e molta passione ha potuto dedicarsi alla boxe, sacrificandosi nel tempo libero senza mai lasciare il certo per l’incerto. Solo questo fatto ci fornisce l’esatta percezione di che pasta e qualità fosse soprattutto l’uomo ed i traguardi raggiunti come atleta testificano quanto grande fosse stato come pugile. Fu campione mondiale militare nel 1973 e partecipò ai mondiali di Cuba l’anno dopo. Nel suo palmares con la maglietta figurano al suo attivo 15 presenze con la nazionale azzurra. Guardia destra, aggressivo, generosissimo sul quadrato ha avuto nella fragilità delle arcate sopraciliari un nemico difficilmente battibile. Cinque delle sue otto sconfitte sono state determinate da ferite. Questo inconveniente lo obbligava a chiudere a trentadue anni una carriera densa di successi. Due volte campione nazionale riusciva nell’intento di inserire il suo nome tra i grandi d’Europa, ottavo italiano a conquistarne il titolo. Alla sua quarta stagione di attività professionistica, iniziata a ventitre anni, imbattuto dopo sedici combattimenti, carpiva il suo primo titolo superando al Palasport di Pesaro Sergio Emili, costretto ad abbandonare al decimo round dopo un aspro combattimento. Sei mesi dopo manteneva la corona vincendo per squalifica di Salvatore Fabrizio, autore di una testata alla prima ripresa. Perdeva il titolo a Cagliari dopo dodici combattutissime riprese contro Natale Caredda. Il verdetto fu molto contestato dal campione detronizzato, ma inutilmente. Malgrado la perdita del titolo ottenne una chance a quello europeo. Il campione in carica era lo spagnolo Roberto Cstanon che da tre anni dominava nel vecchio continente e che con il siciliano disputava il suo nono match titolato. Melluzzo venne immeritatamente squalificato dopo esser stato richiamato per testa bassa. Lo spagnolo era indubbiamente in vantaggio in quel momento, ma la guardia mancina del pugile di Siracusa lo aveva messo in difficoltà. Si prendeva la rivincita su Caredda senza titolo in palio e subito dopo rientrava in possesso della corona italiana togliendola nel settembre 1980 a Marco Gallo che la possedeva. A Fiuggi la sua superiore tecnica ha avuto nettamente la meglio sul potente pugile di Lagonegro. Al cineteatro Roxi di Vittoria in Sicilia respingeva Luigi Tessarin costretto a desistere all’undicesimo round per ferita, ma il suo vantaggio a quel punto sarebbe stato incolmabile per il vigevanese. Il 1981 fu l’anno della grande svolta nella carriera del pugile di Siracusa. Roberto Castanon, campione d’Europa, dopo undici difese del suo titolo, lo abbandonava per tentare il mondiale (venne battuto dal grandissimo Salvador Sanchez) e Salvatore Melluzzo , prescelto con il francese Laurent Grimbert a contendersi la corona vacante, lasciava il titolo italiano. Il match si svolse a Marsala e galvanizzato dal pubblico amico non lasciava nessuna possibilità al francese aggredito subito dopo una sola ripresa di studio. Un ritmo infernale travolgeva Grimbert, fermato al settimo round. Il titolo europeo ritornava in Italia dopo cinque anni. La stessa sorte la subiva lo spagnolo Emilio Barcalà il quale resisteva alla furia siciliana due riprese in più. Stroncato da quattro atterramenti Barcalà veniva dichiarato fuori combattimento. Le ferite che il suo modo spericolato di battersi gli procureranno d’ora in avanti saranno determinanti per l’esito dei suoi combattimenti. A Londra in difesa dell’europeo lo scorrettissimo (al quale l’arbitro permetteva di tutto) Pat Cowdell, più alto e con un allungo superiore, lo obbligava a prendersi tutti i rischi del caso per riuscire a riportare a casa il titolo. Ferito all’occhio destro dal sesto round alla nona ripresa atterrava il suo avversario ed il momento lasciava sperare in un suo perentorio ritorno. La ferita si aggravava e l’arbitro belga interrompeva la competizione alla undicesima ripresa. I cartellini dei giudici in quel momento davano la perfetta parità. Persa la corona di campione d’Europa il siciliano rivolgeva le sue attenzioni al titolo nazionale. Il campione in quel momento era Loris Stecca e sul quadrato del nuovo Palazzetto dello Sport di Teramo, i due gagliardi atleti diedero vita a sei riprese di una intensità tale che da tempo non si registrava per il campionato dei piuma. Sul filo del pareggio il combattimento veniva sospeso a favore di Stecca quando le ferite alle arcate sopracciliari impedirono a Melluzzo di continuare. Il romagnolo mantenne la corona che poco dopo lasciava vacante. A succedergli furono chiamati lo stesso Melluzzo ed il genovese Giuseppe La Vite. Al Palazzo dello Sport della sua città Salvatore per la terza volta agguantava il campionato italiano. Non fu un incontro facile. La Vite alla seconda ripresa lo sorprendeva con un lungo destro e lo atterrava. Il breve conteggio non influiva sul rendimento di Melluzzo che più riflessivo del solito risaliva la china e alla fine dell’ottava ripresa era già in chiaro vantaggio quando una evidente testata dell’avversario gli apriva la solita profonda ferita. Impossibilitato a proseguire Melluzzo veniva dato vincitore per squalifica di La Vite, genovese come pugile ma nativo di Camporeale in provincia di Palermo. Ma il destino del siracusano era segnato: al Palazzo dei Congressi di Riva del Garda il campano Salvatore Bottiglieri gli toglieva il titolo dopo un match dagli strascichi violenti. In vantaggio Melluzzo veniva fermato per una ferita che non pareva così grave. Sei mesi dopo a Vietri sul Mare stessa conclusione e questa volta il grande pugile di Siracusa diceva addio alle battaglie ormai diventate impari. Ritornava a tempo pieno al suo lavoro ma il richiamo della palestra è stato troppo forte. Oggi Salvatore Melluzzo è uno dei più appezzati maestri di pugilato non solo dell’isola ma d’Italia.
Sul nono scranno piazzo [Alberto Serti]. Tra i dilettanti non fu mai campione italiano ma difese la maglia azzurra per otto volte con sei successi. Vinse la medaglia d’argento ai mondiali militari di Lione nel 1954. Allievo di Giuliano Secchi alla Virtus di La Spezia dopo i primi incontri venne soprannominato “il Lord Brummel” della boxe spezzina per l’eleganza della sua boxe. Classe e fantasia facevano parte del suo bagaglio tecnico. A soli diciannove anni passava al professionismo e in breve tempo si inseriva tra i primi della classe ma, non essendo nel grande giro organizzativo, gli ci vollero sei anni prima di ottenere un incontro per il titolo italiano. Questo avvenne nella sua città al cospetto del bolognese Ray Nobile, campione del momento. Un salomonico verdetto di parità, non condiviso da tutti, lasciarono invariate le cose ma Serti accusava un momento di sfiducia che lo portava a subire alcune sconfitte. Battuto da Mario Sitri, Olli Maeki ad Helsinki, Lino Mastellaro e Michele Gullotti, ogni via pareva preclusa ai grandi combattimenti. Nel frattempo aveva cambiato manager, era passato con Luigi Proietti, il grande procuratore romano, il quale molto furbescamente era riuscito a combinargli un combattimento per il titolo europeo contro Gracieux Lamperti. Il ring venne posizionato in piazza Colombo a Sanremo, risultata inadatta a contenere tutto il pubblico accorso ad assistere al match, che non fu di altissimo livello. Il marsigliese pur denunciando i limiti impostigli dall’età sapeva sapientemente far uso della testa e le sue scorrettezze non furono rilevate dall’arbitro, il quale però deve averne tenuto conto al momento di stilare il verdetto. Il combattimento era finito sul filo del pareggio. Dopo la prima parte monotona il confronto nelle riprese finali si era fatto incandescente; Serti atterrato alla tredicesima ripresa, sorprendentemente si riprendeva, faceva toccare il tappeto a Lamperti e si aggiudicava anche l’ultimo round. Lo spezzino diventava in questo modo il quinto pugile italiano a conquistare il titolo europeo. Serti non poteva resistere a lungo sul trono continentale; lo sfidante ufficiale Howard Winstone lo aspettava nella sua Cardiff. Sul ring del Maindy Stadium il gallese confermava il pronostico. La sua esuberante giovinezza (aveva solo 24 anni) si impose alla diligente tattica difensiva di Serti che stanchissimo, veniva fermato dall’arbitro al penultimo round. Dopo la sconfitta con Antonio Paiva sembrava finita la sua carriera, la quale ebbe un sussulto positivo l’anno dopo quando a Torino toglieva il titolo italiano a Lino Mastellaro, suo contraltare in negativo. Tanto è stato prodigo in carriera l’uno, tanto oculato e fortunato l’altro. Il match, che sovvertiva ogni pronostico, fu un capolavoro di tecnica e arte pugilistica da parte del pugile di La Spezia. Anticipo e precisione di colpi avevano ragione di un generoso avversario inferiore tecnicamente ed in fine carriera. Ma la conclusione della storia era dietro l’angolo anche per lui. Nel dicembre del 1964 al teatro Verdi di Sassari l’algherese Andreino Silanos, con una tattica estremamente aggressiva, lo spodestava. Dopo questo combattimento, il quarantesimo, l’elegante spadaccino si ritirava dal ring con in bacheca un titolo europeo ed uno italiano.
Al decimo posto colloco [Federico Cortonesi]. La figura del maremmano incarna una delle più sentite e tragiche vicende pugilistiche. La sua morte, avvenuta a Ginevra dopo il combattimento con Georges Vignés, scatenava all’epoca una dura opposizione al pugilato. Secondo molti la tragedia sarebbe stata evitabile perché i sintomi si erano palesati in precedenza, dopo il match con Bruno Bisterzo ed il pugile andava fermato. Adducendo problemi economici Cortonesi accettava il combattimento in Svizzera che volle concludere a tutti i costi. Una emorragia cerebrale lo stroncava il giorno dopo. “Ghigo” era molto amato dai suoi conterranei per la tecnica sopraffina e la spettacolarità del suo pugilato. Ebbe una rapida e fortunata carriera dilettantistica che lo portava al titolo italiano dei piuma nel 1934 a Napoli, nel 1935 a Ferrara e nel 1936 a Novara. Fu medaglia d’argento ai campionati europei di Milano e difese la maglia azzurra per ben sette volte. A 24 anni debuttava a torso nudo e giungeva al titolo italiano al suo trentunesimo combattimento con una sola sconfitta, battendo quel Gino Bondavalli dominatore assoluto della categoria fino a quel momento. Il match disputato sul neutro di Milano fu un combattimento di rara bellezza tra il fine schermidore ed il gladiatore indomito e questo spiega perché i pareri furono diametralmente opposti al termine della contesa; un pareggio sarebbe stato più equo. Danilo Pasotti lo aspettava nella sua Lugo dove si esaltava in modo particolare. Al teatro Venturini Cortonesi, che soffriva di uno strappo al braccio sinistro, riusciva a contenere le velleità dello sfidante che si meritava un giusto pari. Più facile la successiva difesa un mese più tardi a Genova contro il modesto Dario Origo che tra l’altro aveva avuto anche problemi di peso. L’intensa attività lo portava nel giugno dello stesso anno a Livorno dove respingeva in modo perentorio Alvaro Cerasani. Il grossetano disputava un match intelligente lasciando sfogare il picchiatore romano per fulminarlo nel sesto round con un preciso destro al mento. Passava solo un mese e a Milano regolava Alfredo Vivio, il “pugile zanzara”, così chiamato per il suo fastidioso modo di combattere. Ma il destino era in agguato: alcuni sintomi del malessere affiorarono dopo il match con Adrien Kid Richer e più ancora dopo quello con Bisterzo. Dopo sei mesi di stop risaliva sul ring malgrado molti lo avessero sconsigliato. A Ginevra il suo destino si compiva.
Pietro Anselmi
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