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L'ULTIMO SALUTO A BOSSI, CAMPIONE DI TALENTO E MODESTIA

25/03/2014 - 16.26.27

 

 

Dieci anni dopo l'argento olimpico a Roma, nel 1970 diventa campione del mondo, battendo Fred Little.

Genio ed umiltà lungo una carriera di vertice.

di Giuliano Orlando

La sua Milano ha salutato il “Melo” nell’ultimo viaggio terreno, in una giornata fredda, nonostante la primavera abbia giù fatto capolino. Erano in tanti per rendere omaggio al campione che ci aveva lasciato. La cappella dell’Auxologico, dove si è svolta la funzione, non poteva contenerli tutti. Molti sono rimasti fuori. Tanti compagni di ring e ammiratori, per dirgli che non lo dimenticheranno mai. Carmelo Bossi non c’è più. L’ultimo campione della boxe, totalmente milanese, classe 1939, si è spento domenica mattina, dopo anni tormentati in cui l’ictus che lo aveva colpito nel ’95, si era incattivito e il destino gli aveva portato via la sua Anna, la meravigliosa moglie, che le aveva dato due splendide figlie, Alessandra e Francesca e un amore infinito. Spentasi Anna, sette mesi addietro, nonostante le cure assidue sia delle figlie e la presenza costante dei fratelli, il campione di un tempo, aveva smesso di combattere la battaglia della vita. Adesso è tornato accanto a colei di cui non poteva fare a meno. Nel giro degli appassionati di boxe, Bossi rappresentava la continuità di quel filone pugilistico milanese che aveva trovato in Mario Bosisio, Carlo Orlandi e Aldo Spoldi, indimenticabili protagonisti sul ring di battaglie epiche. Gli amici lo chiamavano “Melo”, abbreviativo di Carmelo, che poco aveva del milanese, quale in realtà era. Chissà perché in casa Bossi, al terzogenito diedero quel nome tipico del Sud. Lo avevano preceduto Francesco classe 1932 ed Ernesto del ’36. Tutti nati a Porta Vittoria, in via S. Barnaba, 48, non lontano dal Palazzo di Giustizia. I Bossi sono un cognome doc della vecchia Milano, un nucleo che abitava nella cerchia dei Navigli, venditori di libri usati, panettieri, riparatori di biciclette, calzolai e maniscalchi. Quel Carmelo mi faceva pensare a radici meridionali. Mi sbagliavo. Me lo conferma Ernesto, il fratello di mezzo, anche lui pugile, sia pure con un arco attivo più breve: “Il primo ad andare il palestra fu Francesco il primogenito, ma non aveva il carattere del combattente, poi ci provai io, che ero cattivo e potente, infatti dopo un breve periodo da dilettante, passai pro e disputai otto incontri, tutti vinti per ko., l’ultimo in Spagna, battendo il campione nazionale. Potevo fare un bella carriera, ma non avevo la testa per i sacrifici, preferivo altre distrazioni, niente di male, ma che con la boxe bisticciavano. Carmelo lo portò alla Unione Sportiva Lombarda che si trovava in Via Bellezza e dove allenavano Combi e Gegio, nostro zio che aveva lo stesso nome. Lo fece perché il ragazzino che aveva 15 anni, era troppo magro, sembrava rachitico. Iniziò da quel momento la sua carriera da grande campione. Qualche anno dopo, cresciuto in altezza e muscoli, andavo ogni tanto a fare i guanti con lui e tentavo di colpirlo per mettergli soggezione, ma non riuscivo quasi mai. Capii che aveva un talento naturale fuori dalla media. Infatti….”
 
Carmelo Bossi nella finale olimpica combattuta con lo statunitense Wilbert McClure
 
Infatti, il ragazzino di poche parole, una lieve balbuzie che non gli crea mai problemi, sul ring dimostra di essere un grande. Fin dall’inizio. Vince i regionali lombardi a 19 anni, un torneo che dura un settimana, impegnandoti fino a sei incontri. Partecipa agli assoluti nel ’58 a Terni e li vince a sorpresa. Il c.t. Natalino Rea comincia ad interessarsi a quel ragazzino dai modi educati chenon alza mai la voce. L’anno dopo, conquista i regionali, ma rinuncia agli assoluti per problemi di peso. Sembra aver perduto l’opportunità azzurra, invece Rea lo convoca ai collegiali e lo mette di fronte a Guerra, campione in carica. Vince Bossi e va agli europei di Lucerna, dove tra la sorpresa generale conquista l’argento, battendosi alla pari col polacco Drogosz, professionista in maglietta. La strada per vestire la maglia azzurra ai Giochi di Roma 1960, è una corsa ad ostacoli infinita. Agli assoluti di Torino, perde in finale per colpa della.. bilancia contro il mancino Orma, un piemontese che l’anno prima si era imposto nei superleggeri. Nonostante l’inciampo, Rea non lo perde d’occhio e quando deve decidere, col solito giochetto di prestigio, inventa ma non troppo, Benvenuti welter e fa salire il milanese nella categoria superiore. Non solo, per guadagnarsi il posto il “Melo” batte Golfarini, Galmozzi e Sandro Mazzinghi e nell’ultima selezione il pugliese Truppi. I conti per Rea tornano alla grande, Nino è d’oro con Musso e De Piccoli, mentre Carmelo è argento, in un peso non suo. Cede solo in finale al favorito USA McClure, possente militare di colore, di stanza in Germania. Il ragazzo di via S. Barnaba, faccia da nordico, l’anno dopo passa professionista con Steve Klaus che opera con Strumolo e Busacca, i boss della Milano organizzativa. Sembra la scelta giusta per fare carriera, magari all’ombra di Loi, la star indiscussa di quegli anni. Ci prova, ma l’approccio col tecnico ungherese, che ha guidato anche l’Italia fino alla vigilia di Roma, non va bene.
 
Carmelo Bossi con il manager Libero Cecchi
 
Carmelo lo lascia e va con Libero Cecchi, toscano sanguigno, quanto appassionato. Non certo un novellino, anche se spesso è in conflitto con i grandi organizzatori. Ha portato al mondiale Mario D’Agata, guida Vecchiatto, Garbelli e poi Carlos Duran, in precedenza l’altro milanese Giannelli. Sa il fatto suo e lo dimostra nel corso degli anni. Bossi non è il pugile dagli acuti, ma un regolarista eccellente. La sua tecnica è una magica ragnatela, che avvolge gli avversari, soffocandoli senza che se ne accorgano. Non è picchiatore, ma il destro sa pungere, col sinistro tiene lontani i pericoli e col gancio mancino completa l’opera. Avanza a piccoli passi, coglie il titolo italiano al 23 ° match ai danni del ceccanese Tiberia, un furioso fighter, che fende l’aria contro il Melo. Per arrivare alla prima cintura ha superato ottimi elementi come Nervino, Parmeggiani, Mirko Rossi un genovese di ottima scuola, il picchiatore Piazza e lo spagnolo Galiana. Combatte in Spagna, pareggia col cubano giramondo Robinson Garcia, genio e sregolatezza, ma il verdetto è bugiardo per l’italiano. Difende il titolo ribattendo Tiberia. Conquista l’europeo a Sanremo nel maggio del 1967, battendo alla grande il francese Josselin, nel classico confronto fra toro e torero. Due mesi dopo, sempre sotto l’ala di Rodolfo Sabbatini, avendo lasciato la ITOS, ritrova Garcia, che nel frattempo era approdato a Genova per stuzzicare Arcari in allenamento. Garcia è bravo, ma senza regole. Alcuni giorni prima del match, entra in discussione con tre marinai stranieri. Bilancio: i marinai all’ospedale con la testa rotta, Garcia a Marassi, per lesioni. Sabbatini lo ha in programma e non demorde, riesce a farlo uscire la mattina del confronto, sale su un elicottero e la sera è pronto per impegnare Bossi. Dura 5 round, poi il fiato finisce e una ferita provvidenziale tolgono Robinson dai problemi che stavano nascendo sui sinistri del rivale diventati un tormento.
 
Carmelo Bossi e Jean Josselin al termine del loro confronto continentale
 
Tra una difesa e l’altra (Cooke e ancora Josselin, va a Johannesburg, contro il,beniamino locale Ludick, battuto sui 15 round per due volte, verdetti ridicoli e fasulli, mentre le borse sono ricche e autentiche. Purtroppo, scivola sulla buccia di una banana nera come il carbone. Si chiama Edwin Fighting Mack, fisico anguillesco, arriva dalle Antille Olandesi, ha 22 anni, tecnica modesta ma destro bomba. Bossi ha avuto problemi per l’estrazione di un molare, combatte senza paradenti. Dopo aver dominato 9 round, becca il colpo che gli fracassa la mascella, rotta in tre punti. Termina il round, ma desiste dal proseguire. Ritorna dopo 8 mesi di stop. Si prende la rivincita con Mack, che nel frattempo aveva lasciato l’europeo a Silvano Bertini, finendo a sua volta out al 13° tempo. Nel ’70 riprova l’europeo a Vienna contro Orsolics, ma trova disco rosso. Fatica e stare nel peso e sceglie di salire nei medi jr. Il promoter Sabbatini ha la pensata giusta, offrendogli l’opportunità mondiale contro il professor Fred Little, nero del Mississippi, fisico bestiale, sulla carta rivale impossibile per Bossi, la cui stazza resta quella di un welter. Tra l’altro, l’anno prima a Roma ci aveva perso sia pure per ferita, dopo tre round.
 
Carmelo Bossi e Freddie Little
 
Sul ring allestito al campo sportiva “Sada” di Monza, compie il capolavoro della carriera. Prudente per oltre metà incontro, ma non passivo, l’italiano trova nel jab sinistro il colpo giusto per anticipare l’azione possente ma imprecisa del campione, sorpreso e anticipato da quel guantone che gli spolvera il naso e poi sparisce. Lavoro paziente di Bossi, che esplode al decimo round col destro improvviso e preciso alla punta del mento di Little che si ritrovava al tappeto tra la sorpresa generale, del numeroso pubblico e dello stesso americano. Il resto è il sogno che si realizza. Ultimi cinque round tesi e cattivi, ma ormai Bossi sa che il miracolo sta diventando realtà. L’arbitro inglese Roland Dakin non ha dubbi: 73 a 69 per Bossi, nuovo campione del mondo WBC e WBA medi jr. La festa del dopo boxe si consuma a Brera, al “Polenta” dove il dialetto milanese, prevale sulla romanità di Rodolfo Sabbatini, il cui vocione tradisce quella soddisfazione in cui pochi credevano. Ha portato al mondiale un altro outsider, sia pure di lega pura. La processione dei complimenti è quanto di più variopinto. Ci sono gli avventori di routine, quasi tutti giovani, che osservano sorpresi e poi vanno a stringere la mano al campione, ma soprattutto quelli che li anta li hanno superati da tempo e che in quel ragazzo hanno creduto fino in fondo. Hanno i capelli bianchi e si esprimono in milanese. “Te conuscevi a sedes’an, Te seri un fiolet, ades te se il campiun del mund. Sunt cuntent”. Carmelo, ascolta tutti, non snobba nessuno, accanto i due fratelli Ernesto il più indiavolato e Francesco più misurato. Hanno gli occhi lucidi, la voce roca e la felicità soprapelle. Attilio Pagani, titolare della Vortice, sponsor di casa e Alessio Cerrati, giornalista dai mille ruoli, tanto pacioso quanto insostituibile, sono a tavola con l’organizzatore danese Mogen Palle che spera di portare Bossi a Copenaghen contro Bogs, l’ex calciatore Nielsen, ora giornalista interessato alla boxe. Non manca neppure Steve Klaus, interprete e accompagnatore dell’arbitro Dakin che brinda con la birra al campione. A notte fonda si passa al “Caprice”, luci soffuse e lape dance. Carmelo resta poco tempo. Passa a casa e salutare la sua Anna e quella bomboletta, come la chiama lui, di Alessandra, in attesa che arrivi qualche tempo dopo Francesca. Non resta a casa, scende a prendere la macchina. “Vado a Lignano Sabbiadoro, dove combatte Arcari, che mi è stato prezioso collega nella preparazione. Gli amici veri non si devono dimenticare”. Cecchi gli trova un buon ingaggio ancora in Sud Africa contro l’astro nascente del paese Pierre Fourie, perde ai punti e torna a casa col denaro giusto per cambiare casa, in meglio, visto che la famiglia cresce. Difende lo scettro a Madrid contro Josè Hernandez, al quale regalano un pari. Il 31 ottobre all’Auditorium dell’università Nihon di Tokyo affronta Koichi Wajima e dimostra al pubblico giapponese che quell’italiano non è una tigre di carta. Dopo 15 round garibaldini in qualsiasi ring neutro, il titolo sarebbe rimasto a Bossi. A Tokyo, solo l’italiano Bertini segna un giusto 73-70, mentre il locale Takeo (70-72) e Valan (67-68) optano per Waijma. Qualche tempo dopo, l’americano confessa di aver sbagliato il punteggio del 14° round e quindi sarebbe stato un 68-68, che avrebbe determinato il pari e il titolo a Bossi. Tardivo pentimento.
 
Carmelo Bossi a Tokyo contro Koichi Wajima
 
Il “Melo” dice basta. Ha 32 anni, oltre 15 di ring, ha vinto tanto e può cominciare una nuova vita. Il clan dei Bossi è una fortezza solida. La famiglia una ricchezza che non ha prezzo. Trova impiego nelle Poste, ma si sente prigioniero di orari che non fanno per lui. Vito Liverani, il fotografo che ha raccontato la boxe a colpi di flash in giro per il mondo, grande amico e titolare dell’Olympia l’agenzia inn di Milano, lo prende come produttore. Carmelo, visita ogni giorno le redazioni milanesi e ogni sosta è un ricordo di immagini indimenticabili. Ogni tanto va pure ad allenare Arcari nel ritiro alla Campora, sulla alture di Genova, dove il mancino guidato da Rocco Agostino, prepara le sue indimenticabili battaglie.
 
Carmelo Bossi portato in trionfo dai suoi sostenitori milanesi
 
Presente a tutte le riunioni, elegante e forbito, col tempo ha smussato gli angoli e diradato certi hobby, in particolare l’ippodromo di San Siro, una sirena dove il trotto e il galoppo suonano sempre sul ritmo delle scommesse. Quando il destino lo segna negativamente, il calore della famiglia rende meno impervia la lotta contro il male. Tutti gli sono accanto e lui capisce questa fortuna. L’amico Enrico Oldani, appassionato e presidente del Comitato Lombardo per anni, lo va a prendere in auto e lo porta alle riunioni di boxe. Bossi dimostra doti di resistenza e coraggio da campione. Si arrende soltanto quando Anna, lo precede per scoprire il mondo degli angeli. A quel punto, il “Melo” ha un solo desiderio. Raggiungere la sua metà senza indugi. Lo ha fatto e sicuramente ha ritrovato pace e felicità.
 
Giuliano Orlando