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Al secolo Giuseppe Curreridi Pietro Anselmi e Vincenzo Belfiore E’ stato il più grande pugile italiano di tutti i tempi? Sappiamo tutti che i paragoni nel pugilato sono difficili da sostenere ma i “numeri” parlano da soli. A 17 anni iniziava una carriera che non ha l’eguale. In 22 stagioni di attività disputava ben 344 match (89. 31. 19. 204 sd. 1nc.). Campione del mondo in due categorie non disdegnava nessun avversario dai piuma ai pesi welter. Non traggano in inganno i 204 match senza decisione disputati, questi erano veri e propri combattimenti dove era valido il ko ed il verdetto non ufficiale era dato dagli addetti ai lavori e dal pubblico presente alle riunioni. A quei tempi non c’era la televisione e la folla accorreva solo se gli attori promettevano spettacolo. Il fatto di essere stato protagonista così spesso testifica del valore assoluto del nostro Johnny Dundee. Aveva assunto per necessità un nome scozzese che per molto tempo lo ha mimetizzato nella grande massa di pugili che a quei tempi cercava la via per uscire dalla precarietà che la vita di emigrante li costringeva. I nostri maggiori quotidiani sportivi scoprirono il campione e sapendolo italiano lo chiamavano Dondero storpiando in questo modo il suo nome di battaglia. Più tardi lo chiamarono Carrora ma in realtà il suo vero nome era Giuseppe Curreri, nato il 22 novembre 1893 a Sciacca in provincia di Palermo da dove mosse con la famiglia alla volta dell’America. I Curreri si stabilirono a New York nella malfamata 40^ West Street chiamata dai residenti “Hell’s Kitchen” la cucina dell’inferno. Chi si azzardava ad entrare nel quartiere, si diceva, venisse cucinato a dovere. Il padre faceva il pescivendolo con posteggio nei pressi del porto e menare le mani per salvare la mercanzia in vendita era un fatto quasi giornaliero. Imparò molto dalla strada il giovane Pinuzzo, ragazzo sveglio ed intelligente. Notato dal manager scozzese Scotty Monteith venne invitato in palestra per affinare l’arte dei pugni..Aveva solo 17 anni ed in poco tempo debuttava sul ring con lo pseudonimo “Young Marino”. Questo nome poco piaceva al suo manager, era il 1910 ed è notorio come l’Italia a quei tempi non avesse ancora acquisito notorietà e una tradizione in campo pugilistico a differenza dei paesi britannici. ”Tu devi prendere un nome scozzese” gli disse un giorno. Proprio in quel momento da un locale li vicino usciva una popolare musichetta molto in voga a quei tempi tra gli scozzesi che inneggiava alla loro città, Dundee, Dundee. Ecco gli disse il manager, ti chiamerai Johnny Dundee. Sebbene ben presto si conquistasse fama come miglior peso piuma del mondo dovette aspettare ben tredici anni prima di cogliere il titolo nella sua categoria, quando il 26 luglio del 1923 a New York batteva ai punti in quindici round il francese Eugéne Criqui. Per la verità dieci anni prima aveva avuto una possibilità di conquistare il titolo mondiale contro Johnny Kilbane a Vernon il 29Aprile 1913. Aveva solo venti anni ed era il favorito per la vittoria. Ma un’imprudenza gastronomica prima del match gli impediva di combattere nel pieno delle sue forze e non andava oltre il pareggio. A quei tempi erano in vigore le otto categorie storiche ed ognuna era sottoposta al controllo dei vari organizzatori che cercavano di salvaguardare i loro interessi. In questo modo non tutti i migliori potevano avere la possibilità di combattere per il titolo. Nacquero allora alcune categorie intermedie per accontentare molti campioni senza corona ed il nostro Johnny conquistava il titolo mondiale dei leggeri junior o superpiuma contro George “KO” Chaney, un forte picchiatore. La folta comunità italiana spasimava e si identificava col suo campione e New York divenne teatro di sfide spettacolari in difesa del titolo. Batteva nell’ordine Little Jack Sharkey, Danny Frush, Vincent “Pepper” Martin ed Elino Flores prima di essere battuto dal pugile ebreo Jack Bernstein, un atleta molto protetto e sostenuto dalla potente comunità giudaica. Dundee non era tipo da rassegnarsi; nel frattempo aveva abbandonato il titolo dei piuma non riuscendo a rientrare nei limiti di peso. Si riprendeva la corona dei leggeri junior contro lo stesso avversario che lo aveva scalzato dal trono alcuni mesi prima e che era uno dei pochi che poteva vantare una vittoria su di lui. Aveva trent’anni ed il logorio di una pesante carriera cominciava a farsi sentire. Perdeva l’ultimo titolo in suo possesso battuto da Steve “Kid” Sullivan. Le sconfitte molto rade fino a quel momento cominciarono a fioccare ma continuò a combattere fino a quasi quarant’anni. Fu pugile dotato di una personale tecnica pugilistica, abilissimo nelle schivate e nel gioco delle corde (ora proibito). Appoggiato ad esse schivava qualsiasi colpo gli venisse portato; la velocità ed il colpo d’occhio erano sue prerogative. Soltanto la sua grande abilità gli permetteva di uscire con successo da tali azioni, ma nel 1917 a Filadelfia solo un grande picchiatore come Willie Jackson (uno dei tanti campioni senza corona) lo sorprendeva mettendolo fuori combattimento al primo round. Due sole volte perse prima del limite; la seconda la subiva quasi a fine carriera da Al Foreman a Montreal in Canada. Johnny Dundee non combatté mai in Europa e men che meno in Italia . Tornava spesso a Sciacca in visita ai parenti e durante una di queste occasioni ebbe l’onore di essere ricevuto a Roma dal Papa. Ma i suoi contatti con l’italianità nella boxe furono frequenti. Molti sono i pugili italiani incontrati in carriera nascosti da nomi fantasiosi in quel crogiuolo che era il mondo pugilistico americano. Sicuramente qualcuno ci sarà sfuggito ma tra questi ricordiamo Patsy Kline (Pasquale Gengaro), Frankie Conley Francesco Conte) che fu campione del mondo dei pesi gallo, Rocky Kansas (Rocco Tozzo), Sammy Mandell (Salvatore Mandalà) e Tony Canzoneri che furono leggendari campioni dei pesi leggeri, il poco conosciuto Gene Delmont (Ernesto Barrasso) e Eddie “Cannonball” Martin campione mondiale pesi piuma. Quando in Italia la categoria dei “piuma” cercava di uscire dalla mediocrità con il titolo italiano conquistato da Leo Giunchi su Franco Vitale, in America un virtuale campionato italiano si disputava a New York tra Johnny Dundee ed il mitico Pal Moran, un napoletano di nome Paolo Maiorana capace di mandare in solluchero trentamila “paesani “ che tifavano per l’uno o per l’altro. Dopo aver conquistato per la prima volta il “mondiale” sei superpiuma, Dundee lo difese a Brooklyn contro Little Jake Sharkey. Questi in realtà era Giovanni Cervati, nato a Bologna nel 1898, considerato un pericolosissimo “becco a gas”, uno di quei pugili che, pur non avendo le caratteristiche di grande campione, poteva battere chiunque. Infatti il bolognese veniva usato per eliminare, in senso sportivo, quei pericolosi contendenti che si paravano sulla strada del campione da proteggere. Era destino che il nostro siciliano perdesse la corona da un altro italiano, nato a Brooklyn, Steve Kid Sullivan, al secolo Stefano Tricamo. Disputava l’ultimo match della carriera battendo Mickey Greb ad Orange nel New Jersey città dove si era stabilito e dove moriva il 22 Aprile 1965. Si ricorda di lui che in carriera abbia guadagnato cifre altissime puntualmente sperperate per il vizio del gioco e delle scommesse.
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