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Addio a un grande campione: Bruno Visintindi Alfredo Bruno La Spezia, 11 gennaio 2015 - Si è spento a La Spezia uno dei più grandi campioni della storia pugilistica italiana, parliamo di Bruno Visintin per il quale la parola grande è tutt’altro che inappropriata, solo che rimane difficile collocarlo in quale categoria fu tra i più grandi. Da peso leggero ? Da peso welter? Da superwelter? Rino Tommasi, che fu un estimatore dello spezzino lo mise al terzo posto dei nostri grandi nella categoria dei superwelter. La sua sfortuna fu quella di incrociarsi in un periodo dove a sbarrargli la strada c’era un “certo” Duilio Loi, sfortuna e grandezza a braccetto. Con il triestino Bruno Visintin incrociò i guanti due volte e per due volte diede vita pur perdendo a matches controversi, dove qualcuno lo vide addirittura vincitore in almeno uno scontro sul filo di un equilibrio da tagliare con il rasoio. Lo spezzino era un predestinato, un po’ sulla falsariga di Nino Benvenuti. Una classe eccelsa con un sinistro d’autore, la precisione dei suoi colpi produceva anche danni ottenendo non poche vittorie prima del limite. Difficile da batterlo anche da dilettante. Campione d’Europa a Milano nel 1951, conquistò il bronzo alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, le stesse che videro Sergio Caprari medaglia d’argento. A batterlo in semifinale fu l’americano Adkins che diventerà da professionista campione del mondo. Con il bronzo in tasca Visintin esordì subito da professionista, conteso per la sua bravura, entrando nella colonia di Luigi Proietti, il manager romano che allenava fior fiore di campioni. Era appena ventenne e sotto il suo inimitabile fioretto 18 avversari ammainano bandiera: alcuni anche con buona quotazione come Padovani, Paini e Marconi. Ci sono anche successi internazionali. Diventa lo sfidante al titolo italiano di quel mostro sacro che era Duilio Loi, il beniamino del pubblico milanese. Loi era campione italiano, ma era da poco (parliamo del 1954) campione d’Europa dei leggeri con la splendida vittoria sul danese Joahansen. Il triestino non aveva ancora voluto abbandonare la corona nazionale. Fu così che si decise per il doppio titolo, anche e soprattutto per il grande trascorso dilettantistico del giovane spezzino. Fu un incontro molto equilibrato, a tratti cattivo. A rompere l’equilibrio fu l’astuzia del campione e il suo maggior adattamento per l’esperienza a barcamenarsi e distribuire le forze sulla rotta dei 15 round. Il verdetto andò a Loi, ma nacque anche una rivalità, sportiva nel vero senso della parola, fra due campioni, rivalità che si trasformò in sincera amicizia. Visintin riprese il suo cammino e cominciò i suoi viaggi e trasferte nella terra dei canguri dove Gigi Proietti aveva un pass quasi d’obbligo. Il suo viaggio coincideva spesso con quello del manager e di Luigi Coluzzi, un solido e bravo welter romano, che si stabilirà e metterà su famiglia a Sydney. Visintin si fa le ossa contro gente dura e forte, lo spezzino accetta tutte le proposte. In questa prima fase solo il basco Argote riuscirà a fermarlo, ma le sue quotazioni sono in continua ascesa. Al suo rientro in Italia dopo due successi su Barbadoro e Lawal trova a sbarrargli la strada a Milano da un altro beniamino, Giancarlo Garbelli. Avere un trio di leggeri come Loi, Visintin e Garbelli è avere una sorta di Eldorado. Vince Garbelli, che getta il cuore oltre l’ostacolo pur dovendo subire la grande classe dello spezzino. Quest’ultimo, comunque, diventa finalmente campione italiano dopo 30 matches disputati. Il folignate Antonini che vantava un pari con Loi viene sconfitto prima del limite in 4 riprese. Lo spezzino mette sotto chiunque gli viene opposto e dopo aver difeso il titolo dall’assalto di Mario Vecchiatto, lo abbandona per passare tra i welter. I sacrifici per rimanere tra i leggeri erano troppo duri e il suo fisico irrobustito aveva le sue esigenze. Torna in Australia per una lunga tournèe: batte gente di caratura internazionale come il sudafricano Nieuwenhuizen e si permette il lusso di battere il campione australiano George Barnes e soprattutto di malmenare nella bella Agustin Argote. Segna il passo per due volte con Clottey, ma non sono verdetti limpidi. Il suo rientro in Italia si svolge all’insegna della vittoria: cadono gente di valore europeo come Idrissa Dione, Maurice Auzel, Kid Dussart. Roma lo vede spesso protagonista e Rino Tommasi gli propone un match con un negro americano, si chiama Ted Wright, da Oltreoceano sono convinti che diventerà il successore di Ray Robinson con il quale ha una vaga rassomiglianza. Wright non ha potenza, ma la sua velocità di braccia è impressionante. E’ uno di quei match che rimarrà scolpito nella memoria dei romani: un vero festival della grande boxe. Vince Wright, ma Visintn gli arriva molto vicino. Prende al volo la chance per il titolo italiano dei welter e si permette il lusso di ottenere la rivincita su Giancarlo Garbelli. Anche lo spezzino, come Loi, ha la capacità di diventare quasi imbattibile nelle rivincite. Visintin fa il vuoto in Europa: i francesi Auzel, Chiocca e Ferrer di fronte a lui fanno la figura di studentelli ansiosi di imparare. Lo spezzino diventa il n. 1 in Europa, solo che sul trono siede Duilio Loi. Il match si svolge al Palasport milanese ed in pratica è la fotocopia di quello precedente. Loi trova sempre quella risorsa in più per mischiare le carte nel giudizio. Sembra che il destino di Bruno Visintin sia quello di essere relegato alla difesa di titoli italiani con avversari agguerriti. Pari con il sardo Fortunato Manca, una lezione al poderoso Rino Borra fino a che Roma lo richiama per battersi con un altro americano, uno con la potenza distruttrice, Langston Morgan, che aveva impartito una severa lezione a Giordano Campari. Il pugile di colore era uomo di classifica mondiale, tra l’altro vincitore di Eddie Perkins. Visintin rischiò molto in quel match, in un paio d’occasioni accusò le mazzate di Morgan, ma lo spezzino aveva anche uno smisurato orgoglio e il resto lo fece la sua classe. Forse fu proprio questo match a fargli capire che la categoria dei welter cominciava ad andargli stretta. Tutto sommato con la nuova categoria dei superwelter si sentiva più a suo agio, non aveva la velocità di prima ma la sua bravura ed esperienza suppliva a questa lacuna. Conquista il suo terzo titolo italiano, in tre categorie diverse, battendo un pugile ostico come Fabio Bettini, un romano con passaporto francese. A Torino nel 1964 affronta Yolande Leveque, un transalpino strenuo avversario di Mazzingi e Benvenuti. Non un fuoriclasse, ma un pugile ostico e indomabile. Visintin corona il suo sogno e diventa campione d’Europa, sulla sua strada non c’è più l’amico Loi, che oltrettutto si è ritirato da poco. Ma è un titolo che si regge su carboni accesi visto che subito dopo gli propongono Souleymane Diallo, un picchiatore senegalese, reduce dalle Olimpiadi Roma, uno dei motivi per cui cui Benvenuti fu dirottato nella categoria inferiore e il suo posto venne preso da Carmelo Bossi che superò Diallo non senza qualche difficoltà. Diallo davanti alla sua gente sembrava avviato alla vittoria, la sua forza e giovinezza sembravano prendere il sopravvento, ma non conosceva l’intelligenza di Visintin. Lo spezzino aveva intravisto un leggero calo del suo avversario e in pratica fece finta di stare per crollare, Diallo abboccò e si getto per finirlo, ma fu fulminato da un micidiale destro al 14mo round. Visintin non ebbe successivamente difficoltà a difendere il titolo contro l’anziano danese Chris Christense e il lussemburghese Philippe, tutte difese fatte all’estero, visto che gli organizzatori italiani lo chiamavano ormai solo per le imprese impossibili. Dopo aver superato l’istrionico Peter Muller vola a Copenhagen dove lo attende Bo Hogberg, pugile grezzo ma robusto. Al danese permettono tutto, Visintin sanguina dall’occhio per le capocciate, i suoi riflessi non sono più quelli di una volta e al settimo round l’arbitro ferma il match a favore di Hogberg. La data è curiosa perché parliamo dell’1 gennaio 1966, un anno nuovo divenuto il Capodanno del ritiro di questo grandissimo campione, che sarebbe diventato anche più grande se sul suo cammino non avesse trovato il suo amico Duilio Loi, con il quale fece da sparring prima degli incontri più importanti. Alfredo Bruno |
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