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Vittorio Tamagnini raccontato da Alessandro Bisozzidi Alfredo Bruno Il mio primo e finora unico incontro con Alessandro Bisozzi si è svolto nella maniera più fortuita e impensabile, anche se per forza di cose le nostre strade avevano una direttiva obbligata, la boxe. Il 6 luglio allo Stadio Comunale Fattori, riunione con il mondiale ad interim di Silvio Branco, all’entrata c’è un banco con la presentazione e la vendita di un libro, una copertina semplice ma efficace con una bella foto di Vittorio Tamagnini. Un appassionato, o addetto ai lavori, come il sottoscritto non si può tirare indietro nell’acquistare un libro che parla di uno dei più grandi campioni che l’Italia abbia avuto, un pugile che segna insieme a Carlo Saraudi l’inizio di una storia che ha avuto ed ha ancora Civitavecchia grande protagonista. Devo essere sincero non avevo in quel periodo tempo per leggere e quindi l’ho messo nella mia biblioteca “pugilistica” in attesa. A risvegliarmi è stato qualche giorno fa Vincenzo Belfiore il quale mi decantò il libro di Bisozzi. Fu per me un benevolo “campanello d’allarme” che mi ha spronato a leggere finalmente Vittorio Tamagnini – L’uragano di Amsterdam. Devo dire la verità che Bisozzi è stato una piacevole sorpresa: la boxe scopre in lui un altro appassionato oltreché uno storico della noble art. Civitavecchia, da sempre patria di questo sport, tra i suoi abitanti annovera alcuni personaggi, che oltre ad essere degli appassionati sono miniere preziose per la conoscenza storica di un ring che da tempo ha superato il secolo. Alessandro Bisozzi ama la storia e ama la boxe, che ha sempre seguita. Non si può lasciare un grande personaggio come Vittorio Tamagnini relegato semplicemente nei ricordi, che con il passare del tempo si affievoliscono immersi in una sorta di nebbia. Il libro, checché ne dicano gli estimatori dell’informatica, è sempre il miglior mezzo per non dimenticare. Questa è la sua prima opera e non credo che sarà l’ultima; forse Civitavecchia ha trovato il suo Omero, il cantore delle gesta dei suoi campioni. Bisozzi sceglie la strada più facile, senza voli pindarici, ed è quella della cronologia. Il libro al posto dei capitoli ha l’anno e inizia con il 1928, l’anno delle Olimpiadi di Amsterdam. L’ Italia conquista tre medaglie d’oro con Vittorio Tamagnini (gallo), Carlo Orlandi (leggero), Piero Toscani (medi), e un bronzo con Carlo Cavagnoli (mosca). Tamagnini, quasi un esordiente nella boxe, aveva appena 18 anni, quando fu il primo italiano a conquistare la medaglia d’oro. Era nato per la boxe e madre natura lo aveva dotato di tutto, come un eroe di Omero, per rimanere nel paragone: velocità incredibile, estrosità, ritmo frenetico, non un picchiatore, ma ugualmente potente per la secchezza e traiettoria dei suoi colpi, inesauribile. Vittorio Tamagnini scherza con Primo Carnera Tamagnini è il protagonista, ma diventa anche l’artefice per farci conoscere altri personaggi leggendari della sua epoca, che trovarono sulla loro strada colui che con il passare degli anni acquistava nuovi soprannomi partendo da “Moschettiere”, “Uragano di Amsterdam”, per diventare “Gatto”, “Mitragliatrice umana”, “Motorino”, “Elettrico”, “Garibaldino” e probabilmente qualche altro, che sfugge, ma significativi per descrivere le sue doti. Attraverso il libro di Bisozzi il lettore fa il tifo per Tamagnini, ma impara anche a conoscere Otello Abbruciati, “Il moro”, che lo incontrò 4 volte; Saverio Turiello, “La pantera di Milano”, Luigi Quadrini, contro il quale conquistò il suo primo titolo italiano dei piuma; per arrivare a quello che fu definito il suo capolavoro, la vittoria su Al Brown, il primo italiano che riuscì nell’impresa. A conquistare il titolo europeo ci riuscì al terzo tentativo battendo prima del limite il belga Raymond Renard in una categoria superiore, quella dei leggeri. Difende vittoriosamente il titolo continentale due volte, tra l’altro battendo un fuoriclasse come il francese Humery. Ma viene spodestato da un altro francese, Maurice Arnault, messo ko da un colpo fortuito causato da un suo imperdonabile errore, quando stava vincendo a mani basse. Ma da un po’ di tempo non era più il pugile di una volta. Forse questa metamorfosi era dovuta alla perdita della primogenita Agata, appena nove mesi, uccisa da una polmonite fulminante. Disputò ancora buoni incontri, ma non riuscì più a conquistare il titolo italiano, e l’Europa, ancora inseguita, sembrava sfuggirgli senza dargli altre possibilità. Poi la guerra. Il 23 settembre del 1945 Civitavecchia risorge dalle macerie e lo fa anche attraverso la boxe. Dopo vari anni Vittorio Tamagnini torna sul ring e batte Guerrino Cosmi, poi subito dopo annuncia il ritiro. Il 20 gennaio del 1981 Tamagnini, grande campione, muore e viene sepolto accanto alla moglie Rosa e alla figlia Agata. L’altro figlio, Roberto, giustamente voleva che la memoria del padre non avesse fine e trova sul suo cammino Alessandro Bisozzi, la persona giusta al momento giusto. |
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