Requiem per un campione: Livio Minellidi Alfredo Bruno È indubbiamente un periodo di lutto per la nostra boxe e per quella mondiale. Il 4 febbraio nella sua casa del New Jersey, all’età di 87 anni, l’Italia perde un altro suo campione, un altro pezzo pregiato di questo sport. Parliamo di Livio Minelli, nato a Bergamo nel quartiere Boccaleone nel 1925, ma residente in America dove ha preso la cittadinanza e messo su famiglia dal 1951. Livio seguì ben presto le orme del fratello Aldo, che iniziò prima della II Guerra da peso leggero, ma che terminò da peso medio sui ring americani e argentini. Il giovane, appena 20 anni, si mise in luce fin dall’esordio tra i professionisti come elemento interessante: dotato di buona tecnica e non disdegnando una boxe d’attacco, a volte temeraria. Fu la sua vittoria contro l’esperto Luigi Bonetti a farlo conoscere al grande pubblico milanese. Fu Luigi Valentini, futuro campione d’Italia dei welter, il primo a stoppare la sua ascesa, ma fu solo un incidente di percorso visto che a Milano Livio si prese la sua bella rivincita. Minelli, che ebbe come procuratore un giovane Umberto Branchini, cercò fortuna all’estero. La sua prima meta fu la Spagna, dove su 13 match subì una sola sconfitta. Ma la vera meta per i nostri pugili allora era l’America, così anche Livio s’imbarcò in un’avventura già intrapresa dal fratello Aldo. Una bella serie di vittorie fu il lasciapassare per affrontare il nero Bob Montgomery, che aveva appena perso il titolo mondiale ad opera di Ike Williams. Montgomery cercava la risalita contro Minelli, e invece per colpa dell’italiano trovò il suo “viale del tramonto”. La stampa specializzata americana parlò molto bene dell’italiano, promosso al grado di rivelazione. La sua bravura fu confermata anche dalla vittoria su Johnny Bratton, altro pugile emergente che per anni sarà nelle prime posizioni dei welter. Anche Bratton fu messo in riga con gran gioia dei numerosi italo americani presenti al match. A scendere in campo contro “minellino” stavolta fu il campione del mondo dei leggeri, Ike Williams, pugile di gran valore. Ma nell’Arena di Filadelfia le cose non andarono come avrebbero dovuto. Il verdetto fu dato a Williams, che venne sommerso dai fischi. Ormai il giovane Minelli cominciava ad entrare nelle classifiche mondiali dei welter. Indubbiamente il bergamasco, come era accaduto a molti altri italiani aveva tratto giovamento dal tipo di allenamento e dal modo di intendere il pugilato da parte degli americani. Sarà così per altri campioni come Saverio Turiello, Aldo Spoldi, e come, in tempi più vicini a Minelli, sarà per Paolo Rosi, il bombardiere calvo di Rieti, e per Italo Scortichini, solido fighter di Fabriano. All’italiano manca la grande organizzazione alle spalle, di titolo mondiale neanche l’ombra, ricordando che allora c’era in pratica una sola sigla ed era difficile ottenere la chance. Le borse erano buone, ma “zero titoli”. Fu questo il motivo che indusse Livio a ritornare in Italia con Branchini. L’occasione arrivò in poco meno di un anno. Robert Villemain aveva abbandonato il titolo europeo dei welter e a contenderselo erano stati chiamati l’olandese Giel de Roode e il nostro Minelli. Per l’olandese davanti alla sua gente fu una disfatta che ebbe la sua fine all’11mo round quando l’arbitro fermò l’incontro (siamo nel 1949). La successiva difesa avvenne si può dire a casa dell’algerino Omar Kouidri, pugile di grande esperienza, che qualche anno prima fu strenuo avversario di Marcel Cerdan. Vittoria netta e senza discussioni per l’italiano. Minelli in una difesa volontaria volle dare la chance al campione italiano Michele Palermo, che all’epoca aveva la bella età di 39 anni. Con grande sorpresa del pubblico presente al Vigorelli di Milano la vittoria fu assegnata al pugile casertano. Una sconfitta imprevista. Siamo nel 1950, Livio riprende quota con una serie di risultati positivi dove spicca il pari imposto a Tiberio Mitri, reduce dalla sconfitta con Jake LaMotta. Eccolo quindi tornare definitivamente negli Stati Uniti. Viene battuto di stretta misura da Johnny Bratton nella rivincita. S’imbatte in Johnny Saxton più volte sfidante al titolo mondiale e campione con una vittoria scandalosa su Carmen Basilio. Saxton è pugile protetto dalla “mala”, Minelli si deve inchinare con una dubbia squalifica alla 7ma ripresa,molto criticata dalla stampa. Il discorso non cambia: Minelli non sta nel giro organizzativo che conta. Lo capisci quando affronta Kid Gavilan, il “Falco di Cuba”, grande pugile e grande avversario di Sugar Ray Robinson quando questi stava nei welter. Gavilan era il campione del mondo e il match sulle 10 riprese si svolse dentro l’Arena di Cleveland. Il cubano si salvò con un verdetto a maggioranza che fu definito semplicemente scandaloso. Un anno dopo il campione concede la rivincita all’italiano. Il match si svolge a Boston nel 1954. Livio Minelli si trasferisce in questa località una settimana prima per rifinire la sua preparazione. In palestra fa i guanti con Paolo Rosi, che lo colpisce al fianco sinistro su una falsa posizione. Il dolore è tremendo e viene subito sospeso l’allenamento. Si pensa di ovviare all’inconveniente chiamando Italo Scortichini a sostituire Minelli contro Gavilan. Il bergamasco non ne vuole sapere e si presenta sul ring senza allenamento e imbottito di antidolorifici. Gavilan quasi subito piazza un destro al fianco di Minelli, che fa una smorfia di dolore. Il campione capisce subito che qualcosa non va nel suo avversario e lo tempesta di colpi. Nel secondo round Livio è contato due volte, ma riprende sempre con coraggio. L’incontro sembra avviato alla fine, ma non è così perché Livio stringe i denti, camuffa il dolore con finte, attacchi improvvisi e un’ abile difesa. Arriva alla fine dei 10 round nettamente sconfitto, ma è lo stesso Gavilan a complimentarsi con lui dopo aver capito che il suo avversario era salito sul ring in condizioni precarie. È questa una delle ultime apparizioni per Minelli che si ritirerà nel 1955 con un record di 60 vittorie, 19 sconfitte e 7 pareggi. Un ritiro avvenuto con la consapevolezza di aver incontrato i migliori, senza aver avuto mai la possibilità di un mondiale.
Umberto Branchini, manager dei fratelli Aldo e Livio Minelli |