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Dopo 27 anni di boxe: da Ariccia fino al tetto del mondodi Alfredo Bruno Ho avuto l’onore, ma soprattutto il piacere di aver visto combattere i fratelli Klitschko da dilettanti nel settembre del 1995 ad Ariccia quando furono organizzati i Primi Giochi Mondiali Militari a cui parteciparono ben 268 atleti di ben 39 nazioni con esclusione di Cuba e Inghilterra. Poteva definirsi un’Olimpiade con le stellette, e molti di quegli atleti che vi parteciparono si presenteranno da favoriti alle Olimpiadi di Atlanta. L’Italia ad Ariccia non si comportò male vincendo l’oro nei mediomassimi con Pietro Aurino, l’argento nei medi con Raffaele Bergamasco e il bronzo nei minimosca con Andrea Sarritzu. Inutile dire che l’interesse della stampa era calamitato su Vitaly e Wladimir Klitschko, ukraini come residenza, ma di origini kazako, che non ebbero nessuna difficoltà a dominare nei supermassimi e massimi. Per certi versi si era avverata la profezia di Rocky IV con Ivan Drago, film uscito una decina d’anni prima. Ariccia fu l’antipasto per le Olimpiadi di Atlanta. Dopodichè i due fratelli in pratica dal 2000 al 2015 sono stati i padroni degli over 91kg da professionisti. Un regno lungo ad un soffio da quello del leggendario Joe Louis. Wladimir era il più giovane dei due e aveva alle spalle una carriera dilettantistica con un record di 64 vittorie e 6 sconfitte. Da pro si irrobustì ancora di più arrivando ai 108kg per un’altezza di 1,98 m. Aveva il fisico e la capacità per primeggiare in qualsiasi sport, correva senza fatica gli 800 metri in due minuti e mezzo. Ha unificato a più riprese i titoli WBA, WBO, IBF e IBO. Da professionista ha ottenuto 64 vittorie, di cui 54 prima del limite, subendo appena 5 sconfitte, di cui 4 prima del limite. Per 29 volte ha combattuto per il titolo mondiale. Ha iniziato nel 1990 ed è andato “in pensione” nel 2017, 27 anni di carriera ineguagliabile. Si era arrivati persino a ventilare uno scontro tra i due fratelli, rimasto solo nelle intenzioni, pura fantascienza. All’età di 41 anni Wladimir ha detto basta, quasi alla vigilia del secondo match con Anthony Joshua, il suo quinto vincitore. All’ukraino va il merito di aver svelato pregi e difetti del suo successore inglese, che ha rischiato il crollo al VI round e che era in svantaggio di due punti quando è stato fermato il match all’ XI round. Oggi grazie a Wladimir non si parla più di un mostro creato come una sorta di robocop, Joshua è costretto a dimostrare il suo valore con più di un punto interrogativo. Buon per lui che il panorama mondiale offre poco. Ma nei massimi si sa a volte basta un solo colpo per fare banco e rimettere tutto in discussione: esiste il più forte, ma non l’imbattibile. Rocky Marciano è stato l’unico esempio e forse rimarrà nella storia ancora per molto. Quando si parla di Wladimir non bisogna dimenticare il suo periodo sotto la guida di un grande allenatore come Emanuel Steward, chiamato al suo "capezzale" dopo le sconfitte prima del limite subite da Corrie Sanders e Lamon Brewster. Steward lo ricostruì nel morale, correggendo alcuni difetti di impostazione che sguarniva la mascella di uno scudo protettivo più efficace. Dal 2005 in poi è stata una cavalcata trionfale fino alle due ultime sconfitte, subite più per l’età che per il valore degli avversari. Alfredo Bruno |
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