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Accorato addio ad Angelo Molinaridi Luigi Carini A chi mi chiede quale fosse stato il miglior pugile, al di là dei titoli conquistati, nella storia del pugilato piacentino dal dopoguerra in avanti la risposta è sempre stata una sola: Angelo Molinari. A chi mi chiede quale persona abbia stimato di più aggiungo: Angelo Molinari. La nostra amicizia nacque esattamente mezzo secolo fa nella palestra della Salus et Virtus. Ci univa la stessa passione, il pugilato. Lui come magistrale interprete, io come semplice cronista. Lo chiamavano “L’Angelo del ring” sia per la bellezza del suo volto che per l’eleganza che esprimeva in ogni movimento. Pugilato come “noble art”. Nessuno meglio di lui testimoniava l’efficacia del binomio. Dell’artista il pupillo del maestro Gino Frantone aveva tutto: l’estro, la fantasia ed una tecnica sopraffina che esplodeva improvvisamente come una fiammata che colpiva e lasciava il segno. Ma il fattore più straordinario di questa tecnica era l’assoluta mancanza di violenza. Può sembrare un paradosso ma i suoi colpi non erano pugni ma pennellate d’autore. Era lui il primo a dolersi se procurava dolore all’avversario. Tanti incontri avrebbe potuto vincere prima del limite, ma non era questo a cui lui mirava:”Per me il pugilato è misurarmi con me stesso ed il mio avversario mi aiuta in questo, pertanto ho verso di lui soltanto sentimenti di gratitudine”. Ad un simile talento nessun traguardo sportivo poteva essergli negato se non l’impossibilità di fare l’attività come sarebbe stato necessario. Alle 5 del mattino cominciava a lavorare: prima in edicola in piazza e poi a fare il giro nelle corsie dell’ospedale. Dopo un veloce pranzo in trattoria (qualche volta neppure quello) ancora in edicola nel pomeriggio a dare il cambio a papà Gino fino verso sera quando poteva lasciare l’edicola per recarsi in palestra fino all’ora di cena, consumata sempre in trattoria, e quindi ritorno in edicola fino alle 11 (e talvolta di più) della sera. Questo fin dalla tenera età. La sua vita è sempre stata difficile; proprio come un incontro di pugilato dove si è soli con le proprie forze e quando si prendono i colpi occorre reagire per non soccombere. E pur tra tante traversie e difficoltà era riuscito a crearsi una splendida famiglia ed uno spazio vitale tra le colline della Val Tidone pur non smettendo mai di frequentare la palestra. Dove avrebbe potuto arrivare se avesse potuto una normale vita d’atleta? La domanda è destinata a non avere risposta, ma una cosa è certa: Angelo è stato un grande pugile. Lo ha dimostrato quando a soli 19 anni affronta la medaglia d’argento olimpica, il romeno Mihalic. e pareggia e quando batte (4 anni dopo) l’altro finalista olimpico il bulgaro Ranghelov. Ed ancora quando a Bologna in azzurro supera il russo Stiaistick, unica vittoria della nazionale italiana contro quella russa. L’amarezza più grande, forse, la troviamo nel ’69 quando a Castelfranco Veneto si vede sfuggire il titolo italiano assoluto dilettanti per uno strano verdetto in finale contro il napoletano Gammella dopo aver battuto in memorabile incontri i favoriti Vantaggioli e Diana. Il suo capolavoro, a mio giudizio, lo fece nel ’72 a Parma contro l’astro nascente piemontese Oppedisano. Angelo fu chiamato all’ultimo momento ed era senza alcun allenamento. L’avevo sconsigliato ad accettare questa sfida improponibile, ma lui aveva troppa voglia di combattere e così accettò. Nei minuti prima di salire sul ring concordammo la tattica migliore per risparmiare energie e non correre rischi, ma una volta sul quadrato accettò la dura battaglia che lo spavaldo avversario gli proponeva. Ed allora l’Angelo del ring” estrasse dalla sua immensa classe colpi che non ci sono neppure nei più ricchi manuali pugilistici e che non avevo mai visto. Oppedisano fu distrutto e lì finì la carriera. Affermare che Angelo Molinari entra nella leggenda non è retorica: è un obbligo. Fonte: Alfredo Bruno |
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