Per i suoi 80 anniOggi, 3 ottobre 2018, uno degli ultimi eroi sportivi del secolo scorso, taglia il traguardo degli 80 anni. Lo vogliamo ricordare con due articoli pubblicati nei giorni scorsi dai quotidiani il Corriere della Sera, Il Giornale e Il Torreno. Mazzinghi pugile generoso: «Io attaccavo, che noia la boxe di oggi»L’ex campione mondiale ed europeo dei pesi medi junior, uno dei più grandi pugili italiani, compie 80 anni: «Io e Benvenuti abbiamo diviso l’Italia in due fazioni, aspetto i suoi auguri» di Claudio Colombo Sandro Mazzinghi, nato a Pontedera (Pisa) il 3 ottobre 1938, è stato uno tra gli atleti più amati dal pubblico degli appassionati di boxe. E’ stato campione mondiale dei pesi medi junior (1963, 1965 e 1968) e campione europeo nella stessa categoria (1966-1968). Ha combattuto 69 incontri: 64 vittorie (42 prima del limite), 3 sconfitte, due no contest. Vive a Cascine di Buti, nella campagna pisana, con la moglie Marisa e i figli David e Simone.
Sandro Mazzinghi è stato l’esempio del pugile coraggioso, combattente, leale. L’imperfezione tecnica elevata a sistema: boxe ribelle, da zigomi gonfi e sopraccigli scheggiati, da brividi sulla schiena e pronostico aperto. E’ stato campione mondiale nell’epoca d’oro della boxe italiana, anni ‘60 e dintorni. Compirà 80 anni il prossimo 3 ottobre, e ancora non ha perso la voglia di combattere. Era il guerriero che ognuno di noi vorrebbe essere. A proposito, di soprannomi ne ha avuti tanti, quale preferisce? «Guerriero mi garba, mi dipinge bene. Perché nella vita ho sempre lottato, è la mia storia. Ma vanno bene tutti, pure ciclone, leone e anche gladiatore. Sono tutti belli, mi ci riconosco». Togliamoci subito il pensiero: si considera il più grande pugile della storia italiana? «Lo hanno detto in tanti, non io, ma non nascondo che tanta considerazione mi fa immenso piacere. E comunque restano i fatti: ho fatto una carriera veloce, a 25 anni ero già campione del mondo, ho bruciato le tappe. Quando andai in Francia, nel 1962, non ero nessuno. Distrussi i loro due idoli, Annex e Attali, e tornai che ero popolarissimo. Avevo già in tasca il contratto per il Mondiale dei medi junior con Ralph Dupas». Probabilmente il giorno più bello della sua carriera. «Esatto. Era il 7 settembre del 1963. Fu un’emozione unica, anche perché ero il quarto campione del mondo italiano dopo Carnera, D’Agata e Loi, non so se mi spiego…». E il momento più brutto? «Lo sport non c’entra: fu quando in un incidente stradale persi la mia prima moglie. Furono momenti terribili: ero devastato moralmente e psicologicamente. Volevo lasciare la boxe al culmine della mia carriera, ma ringraziando il cielo reagii e cominciai a vivere di nuovo». Qual è stato l’avversario più difficile da affrontare? «Il coreano Ki soo Kim: aveva una guardia bassa, veniva avanti come un carro armato ed era molto difficile trovare la misura giusta per rientrare con i colpi. Era pure scorretto, al quinto round mi tirò una testata sullo zigomo sinistro: vidi tutti i colori dell’arcobaleno, ma non mi fermai. Pensava di essere un duro, io fui più duro di lui. Ne venne fuori uno dei più spettacolari match della storia del pugilato». Di lei hanno sempre detto: grande cuore, tecnica non eccelsa. È d’accordo? « Io sono stato un pugile generoso. E andavo sempre all’attacco, per questo piacevo alla gente. La mia boxe non prevedeva il risparmio di energie, non indietreggiavo mai. Cercavo sempre di lavorare i miei avversari al corpo per fargli abbassare la guardia e trovare lo spiraglio per entrare con i miei colpi. Combattevo all’americana: scambio e corta distanza». Quale colpo le “mancava”? «“Il colpo veloce e secco del ko. Ero come un motore diesel; incominciavo a carburare dalla sesta ripresa in poi». Ha avuto un modello pugilistico? «No. Ho però amato Ray Sugar Robinson. Era un pugile fantastico, un ballerino del ring: per me è stato il più grande pugile di tutti i tempi. Un altro che mi piaceva moltissimo era Rocky Graziano: duro, potente, mai domo. Da piccolo andai in un cinema della mia città dove proiettavano “Lassù qualcuno mi ama”, il film sulla sua vita con Paul Newman. Rimasi folgorato, la storia di Graziano fu per me un’ispirazione. Avevo solo 7 anni». Muhammad Ali un giorno disse: quando smetterò, il pugilato non mi mancherà, sono io che mancherò al pugilato. Quanto ha dato il pugilato a lei? E quanto le ha sottratto? «Ali aveva ragione, era un fuoriclasse e il suo ritiro privò la boxe di un pezzo di storia. A me il pugilato ha dato tanto, mi ha fatto realizzare come uomo, mi ha permesso di conquistare quel posto al sole che tanto avevo cercato da ragazzino. Ma alla boxe ho dato tanto anch’io, e non credo che mi abbia sottratto qualcosa. Per me il pugilato è stata una ragione di vita». Segue la boxe di oggi? «Sempre meno e solo in tv, ma soltanto quando ci sono eventi importanti. Non mi entusiasma più di tanto, non vedo da nessuna parte il guerriero che combatte fino allo stremo». E non ci sono più le grandi rivalità dei suoi tempi. «Stiamo parlando di Benvenuti, vero? E no, non ci sono più, ma neppure nel ciclismo o nel calcio: Coppi-Bartali, Rivera-Mazzola… quei tempi lì sono finiti, almeno in Italia. Il dualismo ha sempre creato interesse. Io e Giovanni abbiamo diviso l’Italia in due fazioni, e non so dire se amavano più lui o me. So solo che ancora oggi, quando si parla di Mazzinghi e Benvenuti, mi accorgo che c’è tanta stima ed è bellissimo». Come bellissimo è stato il suo post su Facebook con gli auguri di compleanno al suo eterno rivale, identico traguardo, gli 80 anni, ma tagliato in aprile. Si aspetta la stessa cortesia? «L’ho fatto volentieri: dopo tante polemiche, e devo dire molte create ad arte, ho usato il cuore. Credo che anche Giovanni me li farà con lo stesso sentimento: 80 anni è un traguardo importante per tutti noi». Ce li descriva, questi suoi 80 anni: che cosa fa, come vive, che cosa sogna. «Sono un uomo tranquillo, ho una famiglia stupenda, sono appagato per quello che ho costruito nella mia vita. La tranquillità della campagna mi rende felice. Certo, gli anni purtroppo si fanno sentire, ma che ci vuoi fare? Leggo molto e di tutto, e nella mia proprietà mi occupo della vigna di cui vado molto fiero: produrre un buon vino è un premio che ripaga i sacrifici di un anno». Lei viene da un’infanzia di povertà: lo ha ben descritto nei suoi libri. A quale situazione, oggetto, sentimento associa il concetto di povertà? «Più che concetto una sensazione terribile: buco nello stomaco…A 6-7 anni, in piena guerra mondiale, ho vissuto la fame vera. Ancora oggi quando ci penso mi commuovo, anche perché vedevo mia madre che non sapeva come fare per sfamare i suoi cinque figli». Libri su di lei e scritti da lei, serate-evento, spettacoli teatrali sulla sua vita: amatissimo quando combatteva, popolare sempre, anche ora. Come lo spiega? «Non mi sono mai montato la testa e nella mia vita ho sempre lottato. Vengo dal basso e mi sento uno del popolo, credo che la gente lo abbia capito. La cosa mi rende felice». Lei ha avuto molti amici famosi nel mondo dello spettacolo. Ne ricorda uno in particolare? «Walter Chiari, attore fantastico e uomo buono. Mi voleva un gran bene: era un appassionato di pugilato, che aveva praticato da giovane. Mi ricordo che ogni volta che combattevo a Roma o Milano era sempre a bordo ring. Il giorno del mio match contro Jo Gonzales per il titolo europeo a Roma, nel ’67, lasciò le riprese di un film a Cinecittà per venirmi a vedere. E portò con sé Anna Magnani. Dopo il match, che vinsi per ko al quarto round, andammo tutti a cena in Via Veneto. Walter era un fiume in piena: era quasi più felice di me per la vittoria». Come le piacerebbe essere ricordato, come uomo e come atleta? «Come una persona per bene, semplice come lo è la mia vita. E come un un pugile puro, onesto e sempre rispettoso del proprio avversario». A giudizio suo, in che Italia viviamo oggi? «Domanda da un milione di dollari. Non lo so in che Italia viviamo, ma basta accendere la tv e capisci che i tempi sono cambiati. Quello che mi rattrista è che si stanno pian piano perdendo certi valori e questo non va bene». Ha un sogno nel cassetto? «Vorrei vedere al cinema un film sulla mia vita». Link: www.corriere.it/sport/18_settembre_30/mazzinghi-pugile-generoso-io-attaccavo-che-noia-boxe-oggi-c31cbf58-c4e5-11e8-a181-ae01ca7df8b0.shtml Mazzinghi, eterno guerriero 80 anni di rischi e emozioniPubblicato lunedì, 01 ottobre 2018 - Il Giornale.it Gli occhi chiari di Sandro Mazzinghi non si sono perduti nell'età. La faccia, il naso, la fronte sono segnati come la pelle di un guantone mai smesso. E che non si lascia nel cassetto. Ottanta anni il 3 ottobre, 80 anni come Benvenuti: la sfida continua. E forse mai è apparsa tanto intrisa di umano orgoglio. "Con quello che ho passato sul ring, pazienza se dimentico qualche nome?". Così risponde Sandro al figlio David, quando la memoria si annebbia. Il tempo cancella qualche ricordo, ma Sandro Mazzinghi da Pontedera può superarlo con una alzata di spalle ed una battuta. L'ultimo libro che lo incornicia lo definisce Un eroe del 900. Uno di quei personaggi che ti lasciano qualcosa dentro, non solo il brivido di una emozione. Mazzinghi è stato un guerriero: schietto, permaloso, furioso, generoso, scatenato e intrepido a costo di mangiare "parecchio mallegato" che si traduce sanguinaccio. Ne fece indigestione davanti allo svedese Bo Hogberg, a Stoccolma. Racconta: "Fu una notte da matti. Da allora, in Svezia, abolirono la boxe professionistica".Ottanta anni sono lunghi. "Ma non sono mai pesati e sono volati. La vita è un piacere e va vissuta piena come l'ho vissuta io". Casa Mazzinghi oggi riassume una tribù tra figli, David e Simone, e "una moglie stupenda", vive a Cascine di Buti. "Mi dedico alla campagna ed è bellissimo. Mi basta poco per essere felice". Festeggerà con pochi intimi e molti ricordi. A Milano, il 19 novembre, riceverà il premio della Guirlande d'Honneur 2018, dedicato ai campioni. Sul ring il conto è imponente: 442 riprese, 1326 minuti, 69 match, 64 vinti (61% per ko), 3 persi (due con Benvenuti) e 2 no contest. Il suo motto diceva: "Le ho prese per darle". Il conto finale? "Ho fatto bene a darle sempre. La vita è come un ring: si prendono e si danno". Poi ci sono momenti e momenti. Sandro ne fissa tre per una storia: "L'infanzia molto povera, da non aver nemmeno un pezzo di pane. La vita che, ad un certo momento, ha cominciato a sorridermi. L'essere appagato da quanto ho fatto senza nemmeno cambiare una virgola". E' stato uomo di drammi ed esaltazioni. Nella galleria dei ricordi sfilano: "Mio fratello Guido e il manager Adriano Sconcerti con i quali abbiamo scalato montagne. Giovanni Borghi, patron della Ignis: come un padre. A 25 anni, e campione del mondo, persi la prima moglie: ho superato la tragedia solo con fede e forza di volontà".Il ring è stato il suo podio e la gabbia delle amarezze. Gli ha pesato l'indifferenza dalle istituzioni. "Non ero solo una macchina da soldi quando faceva comodo. Ho fatto match da brividi, non so nemmeno come ne sono uscito vivo". Ne fu esemplificazione la riconquista del mondiale medi junior a San Siro, nel tramonto di una domenica (26 maggio 1968). Un popolo ad esaltarlo, Benvenuti e Loi che litigavano a bordo ring. Una battaglia definitiva. "Quello con Ki Soo Kim è stato un match fantastico e crudele. La mia rinascita e un canto del cigno: 15 riprese di pura follia. Su quel quadrato abbiamo lasciato le nostre carriere". Quelle con Benvenuti sfide infinite. Oggi tutto si è placato. Sandro disegnava Nino, che chiama Giovanni, come un damerino, vanitoso, irridente, coccolato. Ora inzuppa il ricordo nell'agro-dolce: "Per quei due match ho avuto tanta rabbia e rimango della mia idea sulle sconfitte a cui non credo. Il nostro è stato dualismo puro. Ci siamo scontrati per una vita intera. Vi rendete conto? 50 anni! Abbiamo diviso l'Italia come solo i grandi sportivi riescono. E siamo arrivati alla bella età di 80 anni. Dobbiamo essere contenti e felici per quanto realizzato. Tutto il resto, come diceva il mio amico Franco Califano, è noia". Sul ring Sandro era un esaltante demolitore. Gli americani lo scoprirono e gli proposero un match perdi-vinci-perdi con Emile Griffith. Non accettò. "E non mi sono mai pentito. Mi offrirono 100mila dollari. Non mi piacevano le clausole. Peccato, sarebbe stata sfida per cuori forti".Poi c'è stato il Mazzinghi uno e trino per ciclismo, boxe e canto. "Amavo il ciclismo, ma da bambino non avevo i soldi per una bicicletta e scelsi la boxe. Tifavo Coppi e divenni amico di Bartali. Da Ray Sugar Robinson, il mio campione, ricevetti il più bel complimento: negli Usa saresti l'idolo delle folle, la tua boxe è spettacolo. Avevo appena messo ko a Roma il francese Gonzales per l'europeo medi jr. Il canto un'altra passione: con Adamo feci una tournèe nei palazzi dello sport". Diceva Sandro: "Noi Mazzinghi, il pane si inzuppa nel rischio". Chissà, è stato bello rischiare? La risposta è un guizzo di giovinezza: "Era come fumarsi una sigaretta dopo il caffè". Link: www.newsstandhub.com/it-it/il-giornale-it/mazzinghi-eterno-guerriero-80-anni-di-rischi-e-emozioni Sandro Mazzinghi compie 80 anni Guerriero mai domo che creò emozioniLA CARRIERA Fuori i secondi… e avanti con gli ottanta. Sono gli anni che compie Alessandro Mazzinghi, per tutti Sandro, mercoledì 3 ottobre. Ovviamente augurissimi dal Tirreno. Di professione pugile.... di PAOLO FALCONIFuori i secondi… e avanti con gli ottanta. Sono gli anni che compie Alessandro Mazzinghi, per tutti Sandro, mercoledì 3 ottobre. Ovviamente augurissimi dal Tirreno.
Di professione pugile. Erano gli anni Sessanta e Settanta. Quindi è meglio dire ex, come è ex campione del mondo dei pesi superwelter. Ma per tutti in modo particolare i pontederesi, è e rimane il campione della boxe.
La carriera di Sandro Mazzinghi ebbe inizio il 15 settembre 1961 e terminò – guarda caso sempre a Firenze – il 4 marzo 1978. Tra queste due date, alfa e omega della sua carriera sul ring, 64 match vinti di cui ben 43 per ko, e persi soltanto 3. I freddi numeri suggellano tante calde emozioni, date da quel pontederese che seppe portare la boxe a livelli eccelsi. E fu tutta colpa di Guido, il fratello, se Sandro salì sul quadrato. Lui aveva già iniziato a “picchiare” e Sandro lo ammirava. Si stava perdendo anche lui con la nobile arte. Poi arrivò il momento di dirlo in casa, e la madre Ernesta non ne era per nulla convinta e contenta. «Ma se è questo che vuoi fare, fallo. Ti sarò sempre vicino. Ma una promessa, una sola, fammela Ale: sul ring e nella vita la tua condotta sia sempre leale e improntata alla massima onestà».
Non fu difficile a Sandro mantenere fede a queste parole, le stesse cose, peraltro, che lui stesso ha tramandato ai figli David e Simone. Con la consorte Marisa.
Sul ring, Alessandro Mazzinghi fu un leone. O meglio, un ciclone. Ogni incontro un bombardamento di colpi sull’avversario. Lo capì e se ne innamorò Giovanni Borghi, il “cumenda” della Ignis che divenne ben presto il suo mentore. Tant’è che scaturì un bellissimo rapporto umano andato ben oltre il ring.
Il sigillo alla sua carriera, Mazzinghi senza dubbio lo mise esattamente 50 anni fa. Era il 26 maggio 1968 quando trasformò lo stadio San Siro di Milano in un ring a cielo aperto: lì vinse forse l’incontro più cruento della storia del pugilato contro lo spietato coreano Ki-Soo Kim, riconquistando la corona mondiale dei superwelter nonché mandando in visibilio 50mila spettatori. I titoli dei giornali erano tutti per lui, le foto ritraevano due “ecce homo” ma quello di Pontedera era il vincitore. Indiscusso. E riconosciuto da tutti come il guerriero che dà spettacolo ed emoziona le folle.
Vinse, come dire, anzitempo. «Al terzo round esplodo ventuno colpi potenti in sequenza: gancio, montante, diretto, e via ancora. Ancora… Ki-Soo Kim mi cade addosso, lo spingo via e lui va al tappeto mentre l’arbitro Valan inizia a contare; poi il coreano si gira, si alza, volge le spalle e appoggia le braccia sulle corde in segno di resa. Tutti pensammo che fosse finita. Mio fratello gridò: “Ale hai vinto! ”. L’arbitro ignorò il segnare inequivocabile di rinuncia, gli volle bene, un attimo dopo suonò il gong e così, non so come fece, dopo la pausa resuscitò…».
Ki-Soo Kim era un po’ il Mazzinghi coreano. Però mancino, come rileva Riccardo Minuti nel libro “Mazzinghi, un eroe del ’900”.
Un’altra icona della carriera di Sandro fu in precedenza, il 7 settembre 1963, Vigorelli di Milano. Di fronte quel “diavolo” di Ralph Dupas per il titolo mondiale dei pesi medi junior Wbc e Wba. Mazzinghi parla di «prova del nove» e sogna di assestare subito i colpi giusti. Quelli che schiantano l’avversario mozzandogli il fiato: «Alla fine le sopracciglia, gli zigomi non saranno più gli stessi ma senz’altro tumefatti, feriti, sanguinanti». Alla fine, appunto, sarà proprio così. Ma Dupas già alla terza ripresa finì in ginocchio e contato dall’arbitro fino a otto. Alla settima ripresa le scorrettezze di Dupas si fanno più insistenti. Una testata apre l’arcata sopraccigliare sinistra di Sandro. È una maschera di sangue. Il guerriero temette di non farcela e riprese a martellare con veemenza. Il Vigorelli impazzisce. Lo è ancora di più quando giunse al ko. “La potenza dell’italiano ha avuto ragione sulla tecnica di Dupas” scrisse il Corriere della Sera. Dal passato remoto al domani: il 19 novembre riceverà il Guirlande d’honneur, la più alta onorificenza della Federation internationale cinema television sportifis, organismo riconosciuto dal Cio. – Link: iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/2018/09/30/news/sandro-mazzinghi-compie-80-anni-guerriero-mai-domo-che-creo-emozioni-1.17303791 Pubblichiamo una biografia di SandroIl coraggio, l'energia Probabilmente i più giovani non sanno chi sia, ma i serbatoi di memoria che spesso i babbi e i nonni posseggono esultano di emozioni al solo sentire pronunciare il suo nome.
Alessandro Mazzinghi, professione pugile, il suo nome ha un valore enorme per la Valdera e per tutti quelli che ha lasciato con il fiato sospeso durante le sue performances pugilistiche italiane e mondiali.
Il suo nome è stato il primo tra i figli di questa terra a essere scritto nella storia dello sport al capitolo "Campione del Mondo".
Quanto abbia rappresentato Alessandro Mazzinghi nella storia dello sport lo dicono i fatti: campione del mondo dei superwelter a soli 25 anni nel 1963 e poi di nuovo nel 1968.
Sandro Mazzinghi nasce a Pontedera il 3 ottobre 1938 in via Roma, proprio davanti all'ospedale Lotti. Il fratello Guido (Guanto d'Oro d'America, medaglia di bronzo alle olimpiadi di Helsinki nel 1952 e Campione d'Italia), più grande di sei anni, fu colui che nel primo dopoguerra lo condusse al pugilato, tutto all'insaputa della madre che mai avrebbe accettato l'idea di avere in casa due pugili. In Guido avrà non solo un fratello ma un ottimo allenatore e maestro negli anni più luminosi della sua carriera.
Il primissimo maestro di Sandro fu Alfiero Conti, brava persona, uomo all'antica che sgobbava tutto il giorno e poi correva alla palestra, quella palestra in cui Sandro, allora quattordicenne, non sapeva ancora colpire bene il sacco. Fu proprio Alfiero una sera a prendere da parte Sandro per dirgli poche ma profetiche parole: "Sandrino, se trovi il coraggio di insistere hai tutto per diventare Campione del Mondo". Da quella sera della seconda metà degli anni '50 si cominciò a delineare quella che poi sarebbe stata la sfolgorante carriera del "Ciclone di Pontedera".
Durante il corso della carriera un altro uomo ricco d'umanità ma soprattutto fine intenditore di fuoriclasse ha accompagnato Sandro nella scalata al successo: Giovanni Borghi, che è stato per Sandro come un padre. Per tutta la sua carriera lo ha sponsorizzato con la Ignis, azienda di sua proprietà. Il suo ricordo rimarrà sempre vivo in Mazzinghi.
Nel 1961 in America, Sandro Mazzinghi conquista la corona di Campione del Mondo Militare, per la categoria dei pesi welter pesanti.
Poco tempo dopo le Olimpiadi di Roma, alle quali non partecipò perché vantava una sola presenza in nazionale, Sandro passa professionista. Il curriculum dei suoi primi anni da professionista è di quelli che promettono bene: una lunga teoria di vittorie per KO a testimoniare la potenza di cui sono fatte le sue braccia; una sola ininfluente sconfitta contro Melis, pugile sardo ormai alla fine della carriera al quale viene data la possibilità di guadagnarsi ancora qualche borsa prima del definitivo ritiro.
La grande chance si pone dinanzi a Sandro nel 1963, a soli 25 anni e senza mai aver combattuto per il titolo italiano; occasione afferrata al volo. Nell'autunno del 1962 viene ufficializzata a livello mondiale la categoria del superwelter, al limite dei 69,853 kg, le cosiddette 154 libbre. All'emergente numero uno viene offerta la possibilità di battersi contro l'Americano Ralph Dupas, uomo di eccezionale esperienza che aveva strappato la cintura a Dennis Moyer.
Il 7 settembre 1963 al Vigorelli di Milano Mazzinghi stende Dupas alla nona ripresa. E' lui ora il Campione del Mondo. La rivincita si disputa a dicembre a Sydney, in Australia, dal momento che il rivale possiede il passaporto di quel paese e che lo fa fruttare per monetizzare ogni suo incontro.
Al tredicesimo round Dupas finisce KO. Sandro si conferma Campione del Mondo. Non ci sono più dubbi: l'Italia ha trovato un grande boxeur, soprattutto un picchiatore capace di portare la gente al palazzo dello sport per assistere al pugilato "vero".
Sandro resta campione del mondo fino al 1965, anno in cui la sorte gli gira le spalle, e lo colpisce non solo fisicamente ma anche negli affetti: una sera Sandro e la giovane moglie dopo aver partecipato a una cena di gala a Montecatini, decidono di tornare presto. Piove a dirotto, sulla via verso casa l'auto esce di strada e finisce la propria corsa contro un albero.
Mazzinghi viene sbalzato fuori e soccorso dopo un po' di tempo da un gruppo di ragazzi che passano di lì. La donna rimane uccisa sul colpo.
Il pugile rimane per qualche giorno in condizioni critiche, con una frattura alla scatola cranica che ne condizionerà non poco la carriera negli anni successivi.
Sembra che la bella favola debba finire, ma Mazzinghi si riprende e torna sul ring per difendere il titolo a Genova contro Tony Montano, messo KO alla dodicesima ripresa, e a Roma contro Fortunato Manca vincendo ai punti alla quindicesima ripresa.
Sebbene non sia tutto a posto dal punto di vista fisico i regolamenti della Federazione Italiana prevedono che un campione del mondo rimetta in palio il titolo entro sei mesi dal match precedente, e così Mazzinghi si vede costretto ad accettare l'incontro con Nino Benvenuti; se si fosse opposto alla sfida Sandro si sarebbe visto togliere il titolo come pena prevista dal regolamento.
Il match del secolo, almeno per quello che riguarda la boxe nazionale, viene messo in cantiere per il 18 giugno 1965. Per affrontare questo incontro Mazzinghi deve sottoporsi a pesanti cure per ristabilirsi dai postumi dell'incidente stradale, per questo si presenta al primo appuntamento in condizioni non del tutto ideali; ciononostante non snatura la sua essenza di combattente nato, dando battaglia sin dal primo suono di gong. Il colpo risolutivo è però dietro l'angolo e arriva alla sesta ripresa. Le porte rimangono tuttavia spalancate al secondo match ma Benvenuti vince nuovamente, stavolta ai punti, dopo che Mazzinghi ha "fatto" il match.
E' il 17 dicembre 1965: sembra che l'era di Mazzinghi sia terminata nel giro di un paio di anni ruggenti, ma coloro che appoggiavano questa convinzione si sarebbero dovuti ricredere.
Il 17 giugno 1966 Sandro conquista il titolo per la Corona Europea dei Superwelter a Roma, mettendo KO alla dodicesima ripresa Yoland Leveque, titolo che difenderà poi per quattro volte in incontri con pugili di altissimo livello (Bo Hogberg, KO al quattordicesimo round; Jean Baptiste Rolland, KO alla decima ripresa; Wally Swift, KO a Milano alla sesta ripresa; Jo Gonzales, KO a Roma alla quarta ripresa).
Il morale è ricostruito, il pugno è sempre quello di un tempo e si vede; ed è in virtù di questa rinnovata carica che Mazzinghi attende l'occasione per riprendersi la cintura di campione del mondo. Il momento non si fa attendere molto, l'occasione per vedere realizzato il suo progetto arriva il 26 maggio 1968 quando a Milano scende in campo il campione coreano Ki Soo Kim.
E' grazie all'abilità di Romolo Mombelli, metchmaker e capo ufficio stampa del giornale "La Notte", e Vittorio Strumolo, presidente della "Società Imprese Sportive che" si riuscì a dare vita ad uno dei più costosi ed intensi combattimenti del pugilato italiano, le cui gesta ancora oggi sono ricordate con lucida e presente memoria.
Lo stadio di calcio di San Siro è vestito a festa, sembra che in campo ci siano Inter e Milan per un derby-scudetto. Sugli spalti sono in 60.000 ad osannare il pugile italiano che dopo quindici intensissime riprese ha la meglio sull'asiatico costretto a cedere al legittimo detentore la cintura di Campione del Mondo.
E' fatta, è il momento più alto della carriera di Sandro che ancora una volta dà una straordinaria dimostrazione di carattere e potenza a tutti coloro che hanno creduto in lui come campione ed anche a coloro che da scettici avrebbero scommesso sulla sua fine.
Il 26 maggio 1968 Mazzinghi è nuovamente sul Tetto del Mondo.
Nell'ottobre del 1968 Mazzinghi ha 30 anni, il peso delle battaglie di 15 stagioni di carriera inizia a farsi sentire. Il 25 ottobre dello stesso anno incontra l'americano di colore Freddie Little; è un altro duello all'ultimo sangue, ma quello versato di più è quello del toscano che riceve una scorretta testata al sopracciglio destro procurandosi una grossa ferita. L'incontro non può continuare e l'arbitro squalifica l'americano, ma la decisione viene poi annullata e assegnato il "no contest". Passano pochi giorni e la Federazione Italiana toglie il titolo a Mazzinghi: non lo fa invece la WBA, l'organizzazione mondiale del pugilato.
Sfiduciato, deluso e amareggiato dagli ultimi eventi Sandro decide di ritirarsi dal mondo della boxe. Si chiude poco dopo la splendida ed inimitabile carriera del primo pontederese campione del mondo, capace di raccogliere attorno a se la gente con le sue straordinarie imprese, le sue spettacolari vittorie, le sue atroci delusioni, la sua lingua genuina. Link: biografieonline.it/biografia-sandro-mazzinghi |