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Il settimo libro di Dario TorromeoDi Alfredo Bruno Dario Torromeo, 64 anni, è un giornalista in pensione ma solo anagraficamente, perché il suo cervello è sempre in eruzione e le sue mani ticchettano sulla tastiera del computer 24 ore su 24. La boxe lo ha lanciato nel giornalismo attraverso il Corriere dello Sport, dove divenne il successore di Franco Dominici uno dei più grandi nella classifica Top Ten del settore. La boxe per certi versi è stata la sua fortuna, casuale quanto si voglia ma pur sempre la sua fortuna. Lungo la strada dopo Hagler e Tyson nel mondo, dopo Giovanni Parisi in Italia, la boxe non è stata più prima inter pares, professionalmente parlando, e ha vissuto attraverso Dario in compagnia di Calcio, Tennis, Rugby. Ma chi forse lo ha accolto a braccia aperte quando è andato in pensione è stata proprio la boxe. Lo dimostrano soprattutto i libri pubblicati, arrivati finora ad un totale di 7, quasi che Torromeo stesse disputando un titolo mondiale sulla distanza di 12 round (se sostituiamo round a libri forse abbiamo un anticipo di dove vuole arrivare). Ecco da qualche mese fare bella mostra di sé nel settore Novità delle librerie questo “Joe Frazier. Il miglior nemico di Ali” Editore Ultra, Collana Ultra sport, 240 pagine, 19,50 euro, sconto di 2,92 euro se acquistato via internet. Per certi versi mai personaggio è stato più azzeccato nell’essere tramandato con un libro, una sorta di giustizia nei suoi confronti, come uomo e soprattutto come campione, un grande campione, il cui ricordo è stato quasi sempre annebbiato si può dire dall’incredibile personalità di Cassius Clay-Muhammad Ali. Probabilmente se non fosse cresciuto nell’epoca di Alì oggi avremmo un vago ricordo di Joe, come un buon peso massimo, ma uno dei tanti, non certo da stare nella classifica top ten di tutti i tempi. Ha ragione Torromeo nel definire Clay il miglior nemico di Frazier. “Smokin Joe” dal 1964 in poi ha rappresentato l’alternativa, il giustiziere, il rappresentante dei bianchi in difesa dell’integrazione degli uomini di colore nella società di allora. Alì era nato “chiacchierone”, Joe era un taciturno; Ali cercava la folla e la tempestava con quelli che erano veri e propri comizi, Joe era un solitario che voleva sopravvivere con l’allenamento e il sacrificio sul ring; Ali curava da solo la propria immagine, mentre Joe non era facile da propagandare. Ma la cosa certa era che la figura di Joe Frazier era nata per contrastare a suon di pugni lo strapotere mediatico di Ali. Il libro comincia proprio dal punto cruciale, da quell’ 8 marzo 1971 dentro un infuocato Madison Square Garden: “Bam” alla 15ma ripresa scatta il più bel gancio sinistro della storia pugilistica e uno stravolto Clay-Ali sta a terra incredulo, consapevole di essere stato sconfitto senza appello. Persino in Italia alle 4 del mattino del giorno seguente si brindò con spumante alla vittoria di Frazier. Un match tremendo, pieno di trabocchetti politici, sportivi e sociali; un labirinto nel quale Torromeo si districa con abilità. Sono in molti a dire che in quel match i due grandi campioni hanno lasciato la loro parte migliore, e dopo pian piano è arrivata una mascherata parabola discendente per Ali ed una più marcata per Joe. I due vennero ricoverati in ospedale: Alì per un giorno e Joe per oltre una settimana. La partenza del libro è questa, “il match del secolo”, ma non tutti conoscono la storia dell’anti-Ali. Nato vicino a Filadelfia da famiglia povera e numerosa, fu vedendo combattere Rocky Marciano che al piccolo, ma robusto, Frazier venne la voglia della boxe. Joe sapeva che per arrivare in alto doveva soffrire e sacrificarsi, sottoponendosi ad allenamenti durissimi, estenuanti. Da dilettante trovò sul suo cammino Buster Mathis, un colosso di 125 chili, sorprendentemente agile. Alle Olimpiadi del 1964 avrebbe dovuto andarci Mathis, che s’infortunò e lasciò campo libero a Joe, che vinse alla grande pur combattendo con il pollice fratturato, cosa che ad ogni colpo che scagliava produceva fitte come scariche elettriche. Ma Joe sapeva soffrire, sopportava tutto pur di arrivare alla meta. Il suo primo allenatore fu Yank Durham, al quale si affiancò più tardi Eddie Futch. Joe aveva una forza fisica e un sinistro terrificante, ma per arrivare a scaricare la sua arma letale doveva incassare colpi durissimi. Fa il vuoto attorno a se, si prende la rivincita con Mathis e conquista il mondiale disintegrando Jimmy Ellis. Lui è il campione del mondo, ma si parla solo di Mohammad Ali, renitente alla leva, della sua religione, della sua campagna razziale, della sua campagna contro la guerra ecc... Inizia tra i due una sorta di guerriglia psicologica, voluta principalmente da Ali. Quando due anni dopo arriva George Foreman, vincitore olimpico nel 1968, lo si sottovaluta come sfidante, pur imbattuto. Quel match passerà alla storia come una sorta di massacro e forse la fine definitiva di Joe, grandissimo, ma per poco tempo. Nel 1974 si guarda al businnes per la rivincita tra Ali e Frazier. Vince il primo, ma Frazier era stato danneggiato dall’arbitro Tony Perez, che aveva lasciato campo libero alle trattenute di Ali. Gli anni passano, ma non la rivalità fra i due. Le Filippine vivono un momento particolare e il Presidente Marcos attira l’attenzione del mondo facendo organizzare la bella tra Ali e Frazier a Manila. Stavolta è Alì a detenere il mondiale, conquistato a Kinshasa contro Foreman, sono passati 4 anni dalla loro prima grande sfida, quattro anni che non hanno attenuato la loro rivalità, anzi. “Thrilla in Manila” fu denominata la serata e mai titolo fu più appropriato. Il match fu intenso oltre ogni limite e drammatico, i due mettono sulla bilancia tutto quello che hanno, persino la vita. Eddie Futch prima dell’inizio del 15mo round convinse Joe che era meglio finirla lì, che aveva dato tutto e non poteva fare di più. Tale decisione anticipò di pochi secondi quella che aleggiava anche nell’angolo di Alì con Angelo Dundee. Il libro segue principalmente le tre sfide, ma ci fa gustare, questo era lo scopo, quale grande personaggio fosse un antipersonaggio come Joe Frazier. Da ragazzino insofferente ad allenatore di Marvis, il suo figlio maggiore, a cui era molto legato, a cantante fallito, a dongiovanni impenitente, ad anziano malato: il percorso di una vita nel segno di una rivalità che aveva reso grandi entrambi. Un solo piccolo appunto vorrei fare a Dario Torromeo: avrei messo una copertina diversa. Io ho sempre impressa nella mente la foto dell’arbitro che allontana Frazier mentre Clay-Ali è al tappeto. |
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